9.12.13

Au Hasard Balthazar

Robert Bresson
Francia, 1966
91 minuti

"Tu vedi il sentiero, la panchina, i nostri nomi sulla panchina, i giochi con Balthazar... Ma io non vedo niente. Non ho tenerezza, né cuore, né sentimenti. Le tue parole non mi fanno più effetto. La dichiarazione d'amore e la promessa infantile che ci siamo fatti, erano di un mondo immaginario. Non era la realtà. La realtà è un'altra cosa." - Anne Wiazemsky (Marie)

Non servirebbe aggiungere nient'altro al momento, alla già esauriente recensione di EdP ma preme qualche breve annotazione personale su questo film, che era in sosta fin da troppo tempo e che andava assolutamente rivisto, in quanto materia indispensabile per queste pagine, fosse altro per coerenza con quel riferimento bressoniano che accompagna l'avatar in fondo al blog: "il cinema sonoro ha inventato il silenzio". Un silenzio che ha pervaso tutto il cinema di Robert Bresson, fino a quell'ultimo lascito che è L'Argent (1983), la cui linea di demarcazione con le opere di Bruno Dumont, si assottiglia ulteriormente. Ma già in Au Hasard Balthazar (capolavoro poetico e struggente), pur figurando alleggerito di quel minimalismo che caratterizzava i lavori del francese, il silenzio incide. E non solo nello sguardo profondo e malinconico di chi, per sua natura, non può esprimersi verbalmente (il ciucco Balthazar) e da cui possiamo osservare il lato più inumano del cosiddetto "essere umano", o che tale si considera, nella sua accecante idiozia (non a caso, L'idiota di Dostoevskij, è il testo che ispirò Bresson alla realizzazione del film), in quanto il vero idiota non è l'asino, ma l'uomo. Ma quel silenzio viene colto anche scrutando attentamente i gesti; le posture; gli impeccabili dettagli sui volti e corpi (e specialmente sui corpi/sul corpo) degli attori (o dei non-attori, visto il costante ricorso di Bresson ad attori non professionisti), per i quali appare indiscutibile il parallellismo con il cinema del contemporaneo regista/filosofo francese. Il corpo diventa il mero oggetto su cui caricare (e scaricare: con le angherie - le percosse - le sevizie) il peso della crudeltà (dis)umana; il peso della propria (in)coscienza. Come il Pharaon dumontiano de L'Umanità (ma torna prepotentemente alla memoria anche la protagonista di Mouchette, altro, importantissimo film di Bresson), Balthazar è destinato a farsi carico di tutta la malvagità dell'uomo e di tutta la pesantezza di un mondo che, soffocato da quest'umanità corrotta, è quindi destinato allo sfacelo. D'altro canto, l'equipollente alla figura di Balthazar è quella di Marie, legata all'animale in maniera simbiotica fin dall'infanzia; ed è in quelle parole rivolte al suo amore di gioventù, in quel preoccupante "non era la realtà" (gli unici momenti di serenità, per Balthazar, crogiolato nell'affetto dei ragazzini - coronato di fiori dalla sua padroncina), "la realtà è un'altra cosa.", che traspare in maniera profetica la disfatta di questa (dis)umanità che porta inevitabilmente alla deriva, il mondo stesso. Due realtà antitetiche, due poli che circoscrivono un lasso temporale nel quale Balthazar, elemento di trasporto, trainando non può che deperire, assieme all'avvizzimento dei sentimenti di cui si fa carico. E con le lacrime agli occhi lo lasciamo lì, Balthazar; riverso a terra e morente, attorniato da un gregge di pecore che ne contempla l'assurda fine, in un finale che si fa metafora universale, della Fine. Una fine che campeggia a titoli cubitali sul corpo inerme dell'animale e di cui solamente l'uomo, potrà in futuro considerarsi artefice.

11 commenti:

  1. Grande Bresson, e grande Cinema.
    Forse non il mio preferito del mitico Robert, ma ragazzi, che potenza!

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    1. Per me un film immenso, ogni visione è un colpo al cuore. Comunque è vero Ford, tutto Bresson è grande Cinema!

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  2. Dumont deve sicuramente moltissimo a Bresson, così come Tarr, Diaz e quant'altri: il cinema deve qualcosa a Bresson, e io oserei dire che il cinema si deve a Bresson: "Il cinema sonoro ha inventato il silenzio...", mai frase sarebbe potuta essere più azzeccata per un blog sul cinema, oggigiorno. La riflessione sul corpo, secondo me, è uno dei punti cardine, se non il vero e proprio cardine, del film, il quale dovrebbe essere visto, almeno per una volta, considerando solamente i corpi di coloro che vengono rappresentati. Grande, grandissima recensione, rende la mia uno schiamazzo, non so che altro dire: complimenti.

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    1. E' un film che offre svariate riflessioni e prospettive di lettura, avevi ragione tu. C'è tanta, tanta roba che da parte mia è praticamente impossibile ricavarne qualcosa di completo in una sola recensione, tanto meno dopo due visioni, ci vuole molto di più. Comunque questa insistenza sui corpi, è stata un'altro dei punti che ha immediatamente attirato la mia attenzione, la prima volta non ci avevo fatto particolarmente caso. La tua rece è perfetta, altrochè: i complimenti vanno a te!

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    2. Già, questa cosa dei corpi schianta, altroché. E Balthazar, in qualche punto, recupera un altro capolavoro di Bresson, "Mouchette". Ora, cioè nelle vacanze di Natale, vorrei riuscire a rivedere "Il diario di un curato di campagna", di cui ho soltanto bellissimi, per quanto sbiaditi, ricordi.

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    3. La somiglianza con Mouchette è trapelata all'istante. Mi sembra addirittura che il personaggio che interpreta l'ubriacone Arnold, sia lo stesso protagonista in Mouchette (quello che la tiene segregata in casa durante la notte, e sempre ubriaco tra l'altro, se non ricordo male), ma potrei anche sbagliarmi, è passato troppo tempo. Da rivedere anche quello però!

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  3. magari va tenuto in conto anche la visione cattolica di Bresson, e la vita dell'asino è un calvario, una vita dolorosa di un animale, un essere che ha un'anima.

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    1. Senza dubbio, Balthazar ha un'anima, e la visione cattolica di Bresson è un'altra osservazione parecchio significativa; lo si evince già dall'inizio, con il battesimo dell'animale e ritorna alla fine, quando l'animale, previa incensazione, funge da trasporto stesso dell'anima (quella del padre di Marie)... Come scrivevo a Yorick, ci sarebbe ancora tanto da dire su un film così, ma troppo, per una sola recensione. E' consigliabile piuttosto riparlarne nel tempo, sotto altre prospettive, cogliendone gli aspetti lasciati in parte, o che erano sfuggiti.

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  4. Ne parlai da me parecchio tempo fa, Bresson lo devo rispolverare, è un autore essenziale, questo film è capace di spezzarti in due dal dolore e non sto scherzando.

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    1. Scusa Arwen, mi sono accorto solo ora di questo commento, mi sono assentato per qualche giorno. Autore essenziale Bresson, hai perfettamente ragione. Se hai scritto su Balthazar, lasciami il link della tua recensione :)

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