2.5.14

En la Ciudad de Sylvia (Dans la Ville de Sylvia)

Josè Luis Guerin
Spagna, Francia, 2007
82 minuti

Più ci si avvicina all'etereo epilogo di En la Ciudad de Sylvia, più quanto mai emergono chiare reminiscenze bressoniane. Oltre alla scelta di operare in sottrazione riducendo al minimo qualsiasi accento dialogico (e mai come in questo caso, inessenziale), per erigere un film astratto che vive di pura espressione di volti e movimento di corpi, enfatizzando lo spazio e colui che vi circola, il quinto lungometraggio del catalano Josè Luis Guerin sembra presentarsi strutturalmente come una sorta di riformulazione delle Quattro Notti di un Sognatore (1971).
Anch'esso attraverso una costruzione in atti e un'evidente analogia tra il protagonista che persegue il suo ideale d'amore, e il personaggio di Jacques nel film di Robert Bresson: entrambi sono degli artisti ed entrambi, non possono che riversare nell'arte i loro sogni, i loro pensieri, le loro memorie. E In the City of Sylvia è, un film sulla memoria; un poema originalissimo che procede dilatato, attraverso la minuziosa ricerca di un ricordo sentimentale, di un volto scolpito in un tempo che lo stesso regista ha vissuto, proprio nella città di Sylvia*.

Prima notte: pensieri.
Le luci dell'alba rischiarano la stanza di un hotel di Strasburgo. Il giovane pittore è seduto sul letto, immerso nei meandri della propria memoria. Il suo è un ricordo che si chiama Sylvia ma probabilmente rimarrà solo un nome, perchè il volto si è perduto per le vie di quella stessa città, sei anni prima.


Seconda notte: osservazioni.
Solo ritornando nel luogo d'origine, Les Aviateurs, quel bar dietro la cattedrale, il ricordo può riacquistare forma. Occorre stabilire un contatto visivo; scrutare ogni volto possibile tra quelli delle donne sedute ai tavolini, focalizzarlo per poi sfocalizzarlo (impeccabile l'uso della profondità di campo) all'istante se non dovesse corrispondere ai requisiti richiesti dalla memoria. Un mosaico femmineo inizia a (de)comporsi al suono di malinconici violini e nel frattempo, la matita disegna, tratteggia, scalfisce quei volti sulla carta come le grafie rupestri (Laure jet'aime) che decorano i muri della città.
 
Dispersione/circolazione.
E' la città di Sylvia: il luogo dove ora, il pittore, insegue quel sogno materializzatosi per le strade, i viottoli, le finestre degli appartamenti, le vetrine dei negozi. Attraverso le sue vedute, Strasburgo si trasforma in uno spazio orbicolare che tutto avvolge, assorbe e destruttura. Inizia l'incanalamento verso una dimensione rarefatta; venti minuti di pedinamento che conducono ad uno stato d'estasi dispersiva. La conglobazione tra traffico urbano e movimento umano si intensifica, ma non siamo ancora penetrati nel fitto labirinto di riflessi, immagini e suoni che si affastelleranno di fronte al protagonista (frammentando l'immagine di Sylvia) in quell'epilogo destinato a stemperarsi nell'astrazione. Il suo, per ora è un ricordo ancora integro, perchè quella che lui crede essere elle (lei) ora è lì, che le parla, almeno finchè il tram su cui viaggiano non deciderà di dividere nuovamente le loro strade.


Terza notte: elles.
Non era Sylvia; la memoria, a volte, falsifica le immagini. Al pittore non resta quindi che rifugiarsi nuovamente nel suo mondo chimerico dove ora più che mai, si riforma quel movimento sospensorio di volti, tratti, capigliature scomposte dal vento, figure che s'intersecano, si riflettono, affollano l'ambiente e la vista, assumendo i toni metaforici di una mirabile dichiarazione d'amore nei confronti dell'intero universo femminile. Nel mentre, la città di Sylvia si abbandona al crepuscolo che precede la notte: la quarta notte?

*Si tratta in qualche modo un film autobiografico in quanto in gioventù, il regista conobbe veramente una ragazza di nome Sylvia durante un soggiorno a Strasburgo. A tale testimonianza infatti, esiste un interessante documentario fotografico (Unas Fotos en la Ciudad de Sylvia): una sorta di memoriale in bianco e nero che Guerin ha realizzato durante le riprese del film vero e proprio.


7 commenti:

  1. Ecco, sì, sapevo che ti sarebbe piaciuto. Senz'altro a rivederlo mi ha colpito di più, ed è innegabile la vena bressoniana che pure si coglie anche a una prima occhiata. La tua analisi, poi, mette ancora più in fibrillazione le impressioni positive che avevo avuto. Purtroppo, però, non lo considero un capolavoro: è come se gli mancasse qualcosa, non so - quel quid che me lo farebbe adorare: mi è sembrato un grande film, ma un po' "fuori tempo" se non addirittura anacronistico, qualcosa che, se girato qualche anno prima, mi avrebbe davvero fatto gridare al capolavoro per l'impianto bal(l)adistico che lo regge. Ora... boh, è un gran bel film, ma il discorso che fa lo reputo meno interessante di quanto si sta facendo altrove (per es., la destituzione dell'immagine di cui parlavamo domenica)

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    1. Ovviamente, nemmeno io lo reputo un capolavoro, anche se devo dirti che ero tentato a seguire il voto di Slow e Arpusansar. Ma sicuramente hai ragione, potrebbe mancare proprio quel "quid" che però, magari ognuno di noi riscontrerebbe da prospettive diverse (come molte volte ti accennavo riguardo ad altri film: manca la "scintilla" che...). Anche il fatto che tu l'abbia trovato anacronistico, a ben vedere non è sbagliato, se ci pensi, il film svela una costruzione tipica della prima nouvelle vague inoltre, la quasi assenza di dialoghi a favore di questa enfatizzazione delle espressioni e dei gesti, potrebbe riportare anche all'epoca del muto. Comunque sia, l'hai rivisto con i sub ita? Praticamente non esiste un dialogo in qualche modo rilevante, sostanzialmente è, un film muto!

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    2. A dire il vero non ricordavo esistessero sottotitoli in italiano. Comunque sì, è un film della nouvelle vague, hai perfettamente ragione, anche se forse sperimenta meno di un Godard o di un Truffaut, e forse è questo che non me lo fa considerare un capolavoro: non sta a passo coi tempi, non riprende una certa maniera di far cinema collocandola nel periodo cinematografico che stiamo vivendo - pur avendone la piena percezione, di 'sto periodo - e tutto sembra abbastanza fuori dal tempo, il che per certi versi potrebbe pure essere la sensazione voluta dallo stesso regista, data l'ambientazione, la dispersione dei personaggi etc., però, ecco, c'è una narratività di fondo che abolisce la vena contemplativa della pellicola.

      (Se qualcuno legge l'ultima frase mi bastona o mi prende per rincoglionito, però in teoria con te dovrei essere riuscito a spiegare quello che penso.)

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    3. Mentre ti scrivevo questo commento avevo la mente fissa su "Aita". Quel "non esiste un dialogo in qualche modo rilevante" me l'ha riportato alla mente e praticamente tutto il mio commento è stato scritto con in testa quel capolavoro lì. Non c'entra con Guerin, certo, però quel tenersi a passo coi tempi pur ripercorrendo "strategie filmiche" (non mi viene in mente una definizione migliore) note è - per me - il quid, almeno in questi casi.

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    4. "e tutto sembra abbastanza fuori dal tempo"... in effetti è il pensiero che ho avuto anch'io, proprio nella prima sequenza dove il ragazzo è meditabondo nel letto, dall'abbigliamento mi sembrava quasi ambientato nell'era del sessantotto, o giù di lì. E' propbabile, come scrivi, che sia proprio una cosa voluta dal regista e che comunque, a me non dispiace.
      "Aita" ti ha proprio entusiasmato, lo nomini sempre. Perchè non ne scrivi anche tu? Sarei proprio curioso di leggere la tua interpretazione...

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    5. Eh, è un film così intimo che mi riesce assai difficile, pur avendoci provato svariate volte. Non hai avuto come l'impressione che il regista tendesse come a "lasciar fuori" lo spettatore dal film o, almeno, da quella villa?

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    6. Mah, sinceramente non ricordo, non mi pare mi avesse dato questa impressione, dovrei rivederlo (sarebbe la terza volta) ma per ora preferisco continuare la mia esplorazione su "cose mai viste" :) Ho fatto solo un'eccezione ieri sera, mi sono rivisto "Caracremada" come avevo prefissato, vista la somiglianza con "Los Ultimos Cristeros"... Sarà giunta l'ora di scriverne.

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