Ulrich Seidl
Austria, 2007
135 minuti
Austria, 2007
135 minuti
Abbandonate le divagazioni sull'ultimo film di Sorrentino, rientriamo con soddisfazione nei binari che compongono la principale linea di transito per questo blog. Al suo quart'ultimo lungometraggio Ulrich Seidl sconfina dalla natia Austria, "esportando" e diffondendo le sue macerie sociali in direzione dell'est Europa.
Cinema di transiti genuinamente europei, Import/Export, la cui arteria ferroviaria si snoda infatti tra Austria ed Ucraina (passando per la Slovacchia), generando un movimento bidirezionale che testimonia, però, una realtà collettiva, e mai come ora, preoccupante: la necessità di non soccombere al progressivo incremento della crisi (economica, politica, sociale) seguendo ogni possibile direzione per tentare di costruirsi un futuro meno incerto possibile.
Binario uno, Ucraina: delusa dalla mancanza di prospettive nel suo paese, la giovane infermiera Olga lascia la madre e una bimba piccola per fuggire verso Ovest. Arrivata in Austria, viene assunta come donna delle pulizie presso un ospedale geriatrico.
Binario due, Austria: a causa di un litigio Paul perde il suo lavoro di guardia giurata. Lasciatosi coinvolgere dal patrigno in un affare commerciale che prevede l'esportazione di macchine da gioco, decide di seguirlo in un viaggio verso Est, attraversando i paesi dell'ex-blocco sovietico (con tappa a Košice /Slovacchia), per arrivare infine ad Uzhhorod, in Ucraina. L'eccellente montaggio parallelo costruito da Seidl, offre l'opportunità di seguire contemporaneamente l'evolversi dei destini di questi due giovani, che viaggiano in direzioni opposte, ma che sono entrambi determinati a riformarsi attraverso un percorso che possa far loro riconquistare quella fiducia, che andava sgretolandosi, in una vita che sembrava non aver più nulla da offrire. Nonostante tutto (perfidie comprese, che i due subiscono in maniera alquanto costante), permane una propria etica morale da rispettare (lo dimostra Paul, nella discussione col patrigno al bar, più intento a soddisfare i suoi pruriti sessuali che non a concludere il lavoro prefissato). E infatti, a differenza dei film precedenti, affiora un aspetto interessante che risiede proprio nell'operato di Seidl (e in parte, tendente a ripetersi nella successiva trilogia del "paradiso", in particolar modo nel secondo capitolo: Paradise Glaube) il quale, qui, sembra affinarsi, non solo stilisticamente (oltre alle metodiche carrellate orizzontali, notevole è lo scenario atto a rappresentare le due condizioni esistenziali, alternate tra il rigore asettico dell'ambiente ospedaliero austriaco e il degrado delle periferie dell'est, popolate da un'umanità ridotta a scorie), ma anche, e soprattutto (o perlomeno, è l'impressione che ne emerge), mettendo in chiara luce una sorta di umanizzazione che nel suo cinema si agitava, certo, ma sempre dietro una maschera caricaturale che ne impediva il totale svelamento. Aspetto, che con molta probabilità edifica questo Import/Export a tassello più alto della sua filmografia. Sia chiaro, non che la pellicola sia priva dei consueti exploit pungenti, spesso contestati come eccessivamente provocatori (l'insistita esibizione dei corpi, mostrati nel loro ineluttabile decadimento fisico - una mostrazione del brutto che trova facile accostamento con il cinema di Reygadas - e la "violazione" degli stessi, comportante ad uno stato di abiezione, dell'essere umano) che contraddistinguono l'impronta espressiva dell'autore. Ma questa volta, sequenze come quella dell'albergo (cornice di fuggevoli giochi erotici) o le performance delle "operatrici" del peepshow, sono solo frammenti che perdono di quella forza caustica, rimanendo sepolti sotto il peso dei caseggiati fatiscenti avvolti nell'immutabile gelo e grigiore invernali (interessante a riguardo, pensare all'asfissiante "canicola" di Hundstage, 2001, che ne è il diretto contraltare) o semplicemente, destinati a svanire al diffondersi di quella "litania senile" dal quale Olga si astrae, osservandoci con gli occhi colmi di tenerezza e speranza. E alla fine, a dominare il tutto, in Import/Export restano proprio gli sguardi, le voci e i corpi, che arrivati alla soglia di uno schermo nero, chiedono solamente di non morire.
Non ci crederai, ma lunedì sera ero proprio indeciso se vedere Kynodontas o questo Import/Export... Che combinazione. te lo può dire anche Yorick. Chiesi consiglio a lui su quale vedere dei due :-P In ogni caso, torno a commentare dopo averlo visto. Mi sembra più opportuno. Tanto sarà questione di pochi giorni ;-)
RispondiEliminaCome inizio direi che hai fatto bene a gettarti su "Kynodontas", è senza dubbio più originale e potente. Questo è comunque un bellissimo film, personalmente è forse il migliore di Seidl (sono in bilico con "Paradise Glaube") che ti consiglio oltremodo, se del regista austriaco non avessi ancora visto nulla. Aspetto le tue impressioni ;)
Eliminal'ho visto qualche anno fa, davvero impressionante, e non pacificato.
RispondiEliminaa suo tempo avevo scritto questo:
Due storie parallele che non si incrociano mai, due film in uno. La storia di due "scarti umani" del mondo moderno, la cui vita e il cui destino non interessano a nessuno. In un mondo nel quale non c'è spazio per molti, che trascinano la vita per procurarsi qualcosa da mangiare.
Due storie senza troppo futuro, di gente non cattiva, due vinti.
Mi piace questo tuo riferimento agli "scarti umani". Io ho scritto "scorie" focalizzando principalmente la situazione vissuta da certi quartieri dei paesi dell'est (secondo me, quel segmento del viaggio in Slovacchia ha un suo fascino, notevole), ma in generale ci sta egregiamente, anche nella figura dei due protagonisti. Lasciami comunque il link della recensione, che passo a leggere anche quanto scritto dopo...
Eliminadimentichi che spesso le mie recensioni sono di un numero di righe che ricordano aforismi un po' lunghi:)
Eliminane avevo scritto quando ero su splinder, anni fa:(
Non l'ho dimenticato, ero curioso di leggere quali recensioni avevi citato a riguardo. Solitamente, quando passo da te, leggo un pò tutto :)
EliminaGelido, devastante, l'avevo visto dopo aver letto la recensione su Oltre il Fondo. Non ho ancora avuto il coraggio di approfondire la sua filmografia (a parte "Paradise Glaube" che ho visto a Venezia due anni fa). Recensirai anche la trilogia del Paradiso?
RispondiElimina"Gelido": preciso Stefano, si potrebbe congelare I/E solamente in questa parola! Io invece ho avuto modo di approfondire con qualche film in più, ma personalmente, questo e "Paradise Glaube", per l'appunto, li ho trovati i migliori. Difficilmente scriverò della trilogia, credo, ma del secondo capitolo sicuramente (il primo non l'ho apprezzato granchè, e l'ultimo manca ancora al mio appello). A ogni modo, se in futuro vorrai continuare nell'approfondimento, potrei consigliarti "Canicola"... mordace e spiazzante!
EliminaBella recensione di un film che è, anche secondo me, ai vertici della cinematografia di Seidl assieme a "Jesus, du weisst". La trilogia del paradiso mi ha convinto poco, però sei stato acuto nel sottolineare quel trait d'union che li vincola l'uno all'altro. Per quanto riguarda la provocazione di quegli exploit di cui parli... mah, non so chi ce l'abbia vista la provocazione ma sta di fatto che io non l'ho proprio colta e, anzi, laddove loro contestano la provocazione io vedo sprigionarsi l'essenza stessa del film in tutta la sua equivoca potenza: la mostrazione della décadence fisica, intimamente legata a quel paesaggio esteuropeo desolato e desolante, forse - e un po' forzatamente magari - specchio dell'anima dei personaggi.
RispondiEliminaSugli exploit concordo esattamente con te, ma in giro ho avuto modo di leggere pareri di "critici", che a quanto pare non la pensano come noi (uno te lo linko via mail). Della trilogia "paradiso" devo ancora vedere l'ultimo capitolo, e Paradise Love non ha entusiasmato neanche me. Quel trait d'union, ho voluto sottolinearlo in accostamento a "Paradise Glaube", che invece ho apprezzato parecchio. Riguardo a "Jesus du Weisst", c'è l'ho in archivio da tempo, ma sto tentando di tirare avanti solamente per la mancanza di sub (solo english).
EliminaUn gran bel film che ho visto un paio d'anni fa. Rimangono impresse le ambientazioni urbane tipiche dei paesi dell'est, che come giustamente ha ricordato Yorick, sono lo specchio dei personaggi. Ricordo anche quella (diciamo così) "sfortunata" scelta di apostrofare la baby prostituta con il nome di "Gina Lollobrigida". Una piccola manifestazione di razzismo anti-italico, se vuoi il mio parere.
RispondiEliminaAmbientazioni da brividi! Ripeto, quello del viaggio in Slovacchia rimane per me uno dei momenti più suggestivi. E hai ragione anche riguardo la scena con la baby-prostituta, già alquanto squallida di per sè, senza il bisogno di ricorrere a quella "battutaccia"... Nel complesso comunque, resta un Seidl ai suoi livelli migliori.
Elimina"...mettendo in chiara luce una sorta di umanizzazione che nel suo cinema si agitava, certo, ma sempre dietro una maschera caricaturale che ne impediva il totale svelamento", è vero; una definizione perfetta. La "normalizzazione" di Seidl va avanti a passo spedito!
RispondiEliminaNon so per quale strano motivo, ma questo mi mancava. Vedrò di recuperarlo subito, grazie!!
Mi sa proprio che il mio computer, ora che sono tornato, dovrà fare gli straordinari. Se non scoppia prima.
"La normalizzazione di Seidl va avanti a passo spedito"... Infatti, secondo me Seidl, il meglio lo ha dato proprio da questo film in poi, almeno per i canoni che noi prediligiamo. Bentornato bombus, aspetto grandi filmoni visto che con "Borgman", almeno per la mia curiosità, hai già iniziato alla grande :)
EliminaNon sopporto i premi ma stavolta m'hanno fregato e per sbaglio ci sei finito te in mezzo :)
RispondiEliminaA me avevano fregato l'anno scorso con quel maledetto Liebster... A ogni modo, troverò la maniera di vendicarmi, stai tranquillo :D
EliminaScherzi a parte, nemmeno a me piacciono certe "catene", ma quello che conta è il pensiero e quindi, grazie Caden!