Tailandia, Austria, Francia, 2006
102 minuti
Una struttura ospedaliera immersa nel verde; uno spazio diviso in due tempi distanti e imprecisati che si fa infinito, perchè involucro di memorie (quelle del regista) e di continui ritorni alle origini dell'esistenza. Un intreccio di vite: amori a senso unico, desideri irrealizzati e misteriose attrazioni tra medici e pazienti che si ripetono, per poi dissolversi lentamente in quello spazio...
Non è facile scrivere su Apichatpong Weerasethakul, giustamente riconosciuto tra i più importanti autori contemporanei; non è facile perchè il suo cinema estatico va vissuto, intensamente, cercando di disconneterci dalla nostra cultura per penetrare, per quanto fattibile, in quella orientale. Sotto un'estetica formale che guarda al minimalismo più ostico, si cela una tale molteplicità di significati per i quali, risulta alquanto complesso trarne l'interpretazione più corretta e quindi, prima di tracciare un profilo di Syndromes and a Century, sul cinema di Weerasethakul invito a leggere qui, anche le preziose riflessioni di Emergere del possibile, sicuramente più azzeccate.
"Sono affascinato dagli spazi delle piccole città e dai panorami che offrono. Ora che la mia città natale sta cambiando così velocemente, diventando sempre più simile a Bangkok, i miei ricordi di questi spazi perduti sembrano ancora più lontani"
- Apichatpong Weerasethakul
La lontananza che il tailandese dichiara di sentire, necessita innanzitutto di un'espressione attraverso le riprese a campo lungo, riducendo al minimo indispensabile i primi piani. I volti così, svaniscono assieme agli antichi ricordi personali (il periodo precedente il fidanzamento dei suoi genitori, entrambi medici) e l'uomo, ritorna ciclicamente a uno stato embrionale, fagocitato in entrambe le collocazioni temporali, che siano esse la natura rigogliosa della prima parte o le modernissime e fredde architetture della seconda. La circolarità è l'essenza centrale di Syndromes and a Century e l'eclisse a metà film ne simboleggia la dicotomia; un prima (ma che potrebbe benissimo essere un tempo futuro) dove il regista, deviando con quel magnifico e geniale fuori campo su cui appare il titolo, intende manifestarci fin da subito la sua predilizione per gli ampi spazi, relegando così l'essere umano a una sorta di entità evanescente che riporta a tutto il suo universo-cinema pre (Tropical Malady) e post-syndromes (Mekong Hotel). In tal senso, il dialogo tra il monaco e il dentista che in costui pensa d'aver trovato il fratello morto, è in qual modo fondamentale e rafforza l'interpretazione del dopo, perchè nel secondo frammento gli eventi vissuti si ripetono, ma sotto prospettive diverse: i vari dialoghi tra personale e pazienti, il colloquio dei monaci ripreso da un'angolazione opposta. Nonchè, è possibile riscontrare un rovesciamento a livello caratteriale (la dichiarazione d'amore del giovane medico alla dottoressa - il rapporto monaco/dentista), con una conseguente apatia dal momento in cui viene a mancare quella solarità che caratterizzava la prima parte (la natura, il lago, le piante luminose), smantellata a favore di un'ambiente che si fa cupo e claustrofobico (i sotterranei - il fumo). L'interno ospedaliero diventa così industria assimilante per quelle anime in procinto di riaddormentarsi; il corpo-uomo si avvia lentamente alla propria disgregazione (l'inquietante stanza delle protesi - l'uomo monco) mentre il corpo-cinema avanza sinuoso ed insinuante tra i corridoi asettici, le stanze fumogene, i macchinari in funzione. Il sensoriale prende forma, la destabilizzazione è accompagnata da un tappeto sonoro penetrante che si fa sempre più ossessivo, fino a soffermarsi sotto quel tubo di aspirazione, un pozzo uterino sospeso che tutto assorbe: un tempo, l'ambiente stesso, noi che osserviamo. Ed ecco allora, che attraverso una sorta di parallelismo si riforma quell'eclisse, a fare da transizione per l'ennesimo ciclo vitale...
Un nuovo periodo ha inizio e quel luogo ora, riacquista vigore sotto la luce del sole.
Recensione bellissima, io devo ancora riuscire a stendere due righe su questo film immenso, ma la tua citazione (grazie mille!) mi rincuora ché, forse, non ho scritto solo cazzate in quelle rece. Comunque, non avevo colto il parallelismo (dicotomico) corpo-uomo/corpo-cinema, e sarebbe interessante capire come mai questo avvenga. Il corpo-cinema non necessita di un corpo-uomo? Oppure ne è appendice, quasi protesi di esso? Te che ne pensi?
RispondiEliminaPosso dirti che la prima volta che lo vidi, non ne avevo colto un tubo (giusto per restare in sintonia con l'immagine qui sopra :). L'altra sera, rivedendolo e ponendo più attenzione anche ai vari dialoghi (quello del fratello morto, a mio avviso è importante), mi è venuto spontaneo associare l'eclisse solare, che determina la fine del primo segmento (e la conclusione di un ciclo, che potrebbe rappresentare queste prime parole del regista: "Sono affascinato dagli spazi delle piccole città e dai panorami che offrono..."), con questa circolarità che viene a formarsi gradualmente mentre osserviamo il contorno del tubo aspiratore, il quale se noti, sembra distaccarsi da tutto il resto, diventando una forma sospesa, quasi a se stante. Ed è l'ultima immagine prima di un ritorno all'area esterna (con la gente nuovamente attiva, che balla e fa ginnastica) che personalmente, corrisponde con un tempo ancora diverso dai precedenti. Ho cercato semplicemente d'interpretare le parole di AW, le quali esprimono il rimpianto per un tempo che le appare sempre più distante, dovuto a questa veloce evoluzione della sua città: quindi, l'evoluzione, potrebbe essere quel "corpo-cinema" che si distacca diventando appendice e che vaga, per quegli ultimi 10, maestosi minuti in un universo industrializzato (ora che ci penso mi ricorda anche "Distant" stà cosa) dove "il corpo-uomo" in quel preciso momento, non ha più importanza, svanisce, si dissolve con il fumo aspirato (..."questi spazi perduti sembrano ancora più lontani").
EliminaComunque, c'è ne sarebbe da parlare di questo filmone, dimmi pure se la pensi più o meno così, o se l'hai colto in un altro modo...
P.S. Si, figurati, le tue recensioni sono cazzate?, pensa quante ne ho scritte io ;)
Dovrei riguardarlo, cosa che farò quanto prima. Detta così, la cosa m'inquadra parecchio il film, anzi credo me lo illumini a sufficienza per poter riuscire a decifrarlo anch'io meglio di quanto ora non abbiafatto e/o non sia riuscito a fare. Grazie!
EliminaL'interno ospedaliero diventa così industria assimilante per quelle anime in procinto di riaddormentarsi; il corpo-uomo si avvia lentamente alla propria disgregazione... interessante, molto interessante.
RispondiEliminaMi sa proprio che Syndromes and a Century verrà scongelato. Prende freddo da troppo, troppo tempo. Grazie!!
Ho letto da Yorick sì, che c'è l'hai in congelatore da tantissimo. il vantaggio comunque, è che in tale stato d'ibernazione si mantiene:) Scherzi a parte, secondo me è uno dei migliori di AW, te lo consiglierei proprio, anche se ho letto che "Blisfully Yours" non ti ha garbato più di tanto. Quindi un minimo di rischio che tu lo possa trovare troppo estenuante forse resta... spero di no!
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