19.4.15

Tracce #28 | Florealità e memorie: opere brevi di John Warren

"Ogni registrazione è per me una rivelazione, sintonizza il mio stato emotivo con la vita interiore del soggetto." - John Warren

La poetica sublimazione dell'immagine: il cinema di John Warren è un'estatica mescolanza di memorie, sogni, emozioni e poesia. Attraverso una (s)composizione prettamente naturalista e floreale, l'artista indaga sull'importanza della vita e su ricordi personali, sulla natura stessa e l'inesplicabilità del cosmo, cercando di (ri)trasmettere un linguaggio diverso, trascendentale a quello comunemente inteso come cinematografico, proprio delle avanguardie americane del secolo scorso.
John Warren si rivela così, sorprendentemente, esimio cantore di un'immagine portata all'astrazione, attraverso un continuo gioco di sovrimpressioni e giochi di luce che finiscono per espanderla a un sostrato omogeneo di particelle pronte a brillare su sfondi marini (Larimar), sospendersi nell'immensità di spazi paesaggistici (Nature Sex) o, semplicemente, riempire uno schermo dalle gradazioni indefinite (come dimostra il finale-affresco di stampo brakhageiano in Elegy). Per i suoi lavori (da lui stesso definiti, brevi registrazioni di vita), veramente uno più affascinante dell'altro, sceglie la consistenza e la flessibilità del 16mm, il cui occhio svela immediatamente quel lirismo cromatico che Warren satura, per esempio, in Poppy Fields Forever; tre minuti scarsi incentrati sull'intensa osservazione di un campo di papaveri e le continue evoluzioni circolari di camera (in senso orario) su di esso. 
Potete guardare direttamente i film cliccando sui titoli qui sotto... approfittate!

Larimar
USA, 2014 | 6 minuti

Nature Sex
USA, 2014 | 3 minuti

Poppy Fields Forever
USA, 2012 | 3 minuti

Elegy
USA, 2006 | 6 minuti

3 commenti:

  1. Ciao Frank, bellissimo post come sempre. Le immagini di Poppy Fields Forever mi hanno ricordato i papaveri saturati 3D di Adieu au Langage... chissà, forse Godard nella sua voracità collagistica li ha (in)consciamente incorporati nel suo lavoro. O più semplicemente, quando il cinema si è saturato di generi, avanguardie, contaminazioni, i cineasti tornano a contemplare i campi di fiori.

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    1. Ciao Ivan, fa piacere constatare l'interesse anche per questi "prodottini", ancora più sommersi del cinema underground stesso, lavori semplici ma di grande impatto, d'altronde su Vimeo ho sempre scoperto cose e autori interessantissimi. È vero, ricordano Godard quei papaveri, direi che tutto "Adieu au Langage" vive di una cromaticità esasperata, curioso è, che tendenzialmente si è soliti associare il nome di Godard al suo periodo d'oro, quindi al b/n. Protenderei per la seconda ipotesi: da una parte il cinema è indubbiamente iper-saturo (almeno quello più mainstream), dall'altra, noto che c'è comunque un sentito ritorno alla semplicità della pura registrazione, fortunatamente, e come per la fotografia, quale soggetto migliore se non la natura nella sua molteplicità di forme e colori?

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