Eloy Enciso
Spagna, 2012
66 minuti
E' una stazione di permanenza per tutte quelle vite che hanno deciso di sfuggire all'avanzare del tempo, Arraianos. Il tempo, infatti, sembra essersi congelato in una sperduta zona al confine tra Galizia e Portogallo, nel piccolo villaggio rurale che Eloy Enciso ritrae con sguardo pittorico e assolutamente non convenzionale, guidandoci all'interno di una comunità attempata, a tratti spettrale, che come in Historias que só existem quando lembradas (2010) è profonda conservatrice di memorie, ma dove nonostante tutto, la vita e la natura, proseguono il loro corso.
Spagna, 2012
66 minuti
E' una stazione di permanenza per tutte quelle vite che hanno deciso di sfuggire all'avanzare del tempo, Arraianos. Il tempo, infatti, sembra essersi congelato in una sperduta zona al confine tra Galizia e Portogallo, nel piccolo villaggio rurale che Eloy Enciso ritrae con sguardo pittorico e assolutamente non convenzionale, guidandoci all'interno di una comunità attempata, a tratti spettrale, che come in Historias que só existem quando lembradas (2010) è profonda conservatrice di memorie, ma dove nonostante tutto, la vita e la natura, proseguono il loro corso.
E' solamente il tempo, ad essersi fermato; intrappolato, si potrebbe più esattamente dire, tra i fitti arbusti di un bosco dai risvolti arcani, che cattura con magnetismo i suoi popolanti, intenti a contemplarlo assorti nella loro immobilità, senza fine, e proprio perchè non c'è fine alcuna in Arraianos. Tutto è come avvolto in un limbo nel quale queste esistenze sembrano rincorrersi ciclicamente, e le pale eoliche stanno lì a simboleggiarlo, questo ciclo, con la loro rotazione eterna dopo che il vento ha soffiato anche sulle ultime ceneri di un passato indecifrabile. Come nel film della Murat, la Storia del villaggio, con i suoi uomini e le loro tradizioni, è impressa negli scatti fotografici consumati, pronti a divampare tra le fiamme di un falò, per poi dissolversi nel fumo che si condensa come la nebbia, immutabile, che cala su quel luogo silenzioso e recondito. Probabilmente si celano forze ancestrali in quel ventre boschivo dove gli alberi vengono abbattuti, bruciati; credenze, che vanno quindi celebrate come una sorta di rituale propiziatorio. I volti di questi osservanti del tempo, con lo sguardo innalzato al cielo, in direzione di un vuoto invasivo che trascende la concezione dello spazio-cinema, sembrano rievocare quei fantasmi franchisti nell'eterea conclusione di Une Vierge Chez les Morts Vivants. Anch'essi, sospesi in uno stato di perenne attesa, in una dimensione che ha deciso di arrestare il tempo.
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