28.10.14

Alberi

Michelangelo Frammartino
Italia, 2013
28 minuti

E' un film che va esperito necessariamente nel silenzio delle prime luci del mattino, Alberi, per restarne completamente pervasi emozionalmente dal frusciare sinfonico della sua ambientalità. E dopodichè, per chi ne ha la possibilità, ripetere magari l'esperienza nuovamente al tramontare della sera. Perchè se dovessimo tracciarne un grafico simbolico, ne uscirebbe un semicerchio a rappresentazione di una temporalità che può prodigarsi solamente nell'arco di una giornata; dall'alba al tramonto, appunto, poichè l'altra metà (la notte) non si palesa.
Come già espresso qui, infatti, il cinema di Michelangelo Frammartino è un dono, e non solo verso una cinematografia limite che in Italia si può contare sulle dita di mezza mano (o a quei pochi che la perseguono), ma è soprattutto un omaggio alla naturalità della vita, ed è quindi obbligatorio partire dall'origine: dalla nascita. Come ne Le Quattro Volte (2010), è impossibile non riscontrare quella perfetta e armoniosa congiunzione tra principio e compimento. L'immensurabile manifestarsi dell'aurora a inizio film, il cui graduale fulgore si espande lentamente (molto lentamente) facendosi spazio tra le fronde di una vegetazione arbustacea catturata/contemplata dalla prospettiva più terrena, è il naturale riflesso dell'altrettanto immenso piano conclusivo, i cui rami nelle mani dei "romiti" (gli uomini-albero ricoperti d'edera che attraversano il paese di Satriano, in Lucania) tornano a flettersi sopra l'obiettivo finendo con l'occludere quei fasci di luce, e decretando così la fine di un ciclo (il rituale paesano, il giorno stesso) con la stessa procedura iniziale (stessa posizione della mdp, proiettata verso l'alto). Costruzione, che oltrettutto rievoca da vicino il maestoso albeggiare che si dischiudeva sulle campagne del reygadasiano Stellet Licht. Qui, il sole irradia, come la vita, l'anima più recondita della Natura (e la musicalità del suo respiro); un'altura boscosa dalla quale la cinepresa questa volta si anima, emerge, dopo averne esplorato sinuosa le arterie, svincolandosi tra di esse per poi soffermarsi al cospetto di questo paesino arroccato, sospeso nella temporalità ellittica che lo avvolge assieme al suo antico culto arboreo, alle sue tradizioni arcaiche e inestinguibili. Nel tutto, ritorna quindi quel concetto di circolarità che fino ad ora ha composto la poetica formativa dell'autore milanese. E non per ultimo, anche nella progettualità che sta alla base di Alberi, che è opportuno ricordarlo, nasce sì, come video (o cine) installazione, originariamente finalizzata dunque a una proiezione ciclica nei vari musei d'arte contemporanea (MoMa di New York, Den Frie di Copenaghen), ma che in definitiva, si concretizza come Cinema a tutti gli effetti e la cui autentica "installazione", è quella che risiederà, prima che nella memoria, nel cuore, di chi ha avuto la fortuna di fruirne.

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