Ultimo giorno del mese, giusta conclusione dei resoconti locarnesi.
Tra i film segnalati nella seconda parte, si è accennato a Rio Corgo, dove i ricordi segnavano l'esistenza del vecchio protagonista. E In via generale, sui processi della memoria s'incentra anche l'ultimo, suggestivo lavoro di Rita Avezedo Gomes: Correspondências.
Tra i film segnalati nella seconda parte, si è accennato a Rio Corgo, dove i ricordi segnavano l'esistenza del vecchio protagonista. E In via generale, sui processi della memoria s'incentra anche l'ultimo, suggestivo lavoro di Rita Avezedo Gomes: Correspondências.
Opera che origina da un lungo dialogo epistolare tra due illustri poeti portoghesi (Jorge de Sena e Sophia de Mello Breyner), accorciandone le distanze territoriali (Portogallo e Stati Uniti), causa esilio, in un arco di tempo che intercorre tra il 1959 e il 1978, anno poi della scomparsa dell'uomo. Senz'altro pregevole l'intento di trasferire in immagini una relazione epistolare di tale estensione nel tempo, considerato oltretutto lo spaccato storico che ne emerge ma a conti fatti, ciò che personalmente affascina è la capacità di portare avanti una struttura formale di una certa originalità (senza la quale il film ne avrebbe certamente risentito per l'eccessiva, tutto sommato, verbosità), con la stessa magia nostalgica (sulla quale effettivamente si ponevano speranze) che caratterizzava Fragil como ò mundo (2002), e la stessa sublimazione al poetico (meravigliosa la sequenza conclusiva nella grotta), avvalendosi di seducente materiale in super8, alternato alla pulita simmetria di inquadrature rievocanti immediatamente il cinema di Straub & Hullet.
Prima di concludere con i due film che maggiormente hanno trovato il favore del sottoscritto, procediamo con l'annotare molto velocemente i restanti lavori non segnalati nei post precedenti. Le ultime file di questo festival; cose, che ad eccezione del premiato (nel concorso Cineasti del Presente) El auge del humano (contrastante, a suo modo singolare esordio al lungometraggio dell'argentino Eduardo Williams, tipica opera in grado di dividere nettamente le opinioni per la quale indirizzo all'accurata, e senza dubbio più sentita, recensione del neo-blog Sound of my Voice), possono anche scivolare nell'oblio ma tant'è, giusto per dovere di cronaca: Wolf and Sheep di Shahrbanoo Sadat, Inimi Cicatrizate di Radu Jude (vincitore, con sconcerto, del Premio speciale della giuria) e L'indomptée di Caroline Deruas, dove l'unica fonte d'attrattiva risiede nella "rossa" Jenna Thiam, quando si dice, conturbanti presenze in grado di penetrare l'onirico maschile. Anche la Grecia ormai, con constatato rammarico, pare aver esaurito tutte le sue ingegnose risorse (al momento, resistono le fugaci visioni di Konstantina Kotzamani). Poichè Afterlov, di Stergios Paschos, è la prova evidente di un cinema all'origine illuminante, che ha progressivamente perduto la sua intemerata matrice, oramai congelata nell'asettica messa in scena di Luton (2013), dal mio punto di vista, l'ultimo grande film della new-wave ellenica. Perlomeno, è possibile assegnare ad Afterlov un ipotetico premio come visione più irritante di questo festival, anche per i suoi isterismi coniugali distanti anni luce, invece, dall'entusiastico gioco filo-erotico della coppia protagonista di Beduino; l'ennesima riconferma di un Júlio Bressane eternamente visionario e oramai stabilizzato su un territorio di ossessiva auto-rigenerazione dove lo spettatore è libero di vagare senza alcun orientamento. È la via di un cinema che, come da lui dichiaratemente espresso, fa dell'immagine un atto di divisione, il taglio con una rappresentazione del reale: "il reale non è solo quello che vediamo al telegiornale: la poesia è reale, la letteratura è reale, l’immaginazione è reale”. Beduino inizia dal set dove si concludeva Educação Sentimental, e la prima mezz'ora è fulminante: fin dalle prime inquadrature è chiaramente evidenziato il succitato pensiero dell'autore, nell'incontro "invisibile" tra i due protagonisti che, pur trovandosi a pochi passi uno dall'altra, paiono non vedersi, persi nello spazio di una proiezione scenica amplificata da quell'effetto grandangolare tanto caro al Bressane degli ultimi tempi. Per poi proseguire con un tripudio cosmico di deviazioni visivo-sensoriali (come l'incessante suono delle onde che s'infrangono sugli scogli durante la scena-manifesto ritraente la protagonista imbrigliata tra le corde di un'imbarcazione), fino a trovare il loro culmine nella surreale soggettiva di quel trenino giocattolo, intento a percorrere le metamorfiche sinuosità del corpo femminile. E in conclusione, verso una sorta di mutamenti/trasfigurazioni (in questo caso più trascendentali), è spinto il portoghese João Pedro Rodrigues, che con il discusso O Ornitólogo si porta a casa il Pardo per la miglior regia (premio facilmente pronosticato d'altronde) e costruisce quello che preferenzialmente considero il miglior lavoro della sua filmografia. Da sempre affascinato dai miti, il regista cerca di trasferire una figura come quella di San Antonio nel "camaleontico" personaggio di Fernando; ornitologo all'insegna di un viaggio iniziatico nel cuore di una foresta lussureggiante e misteriosa. Luogo dai risvolti e riferimenti pagani (la ferita nel costato) che diviene ben presto incarnazione del suo universo interiore, dando il via a un susseguirsi di visioni oniriche e trasformazioni che lo condurranno ad una sorta di liberazione dei propri desideri. Partendo da accurarte fonti biografiche, all'origine dell'opera, l'inestinguibile curiosità di Rodrigues verso la figura di questo santo (e la sua adattabilità: la natura, l'amore per gli animali), simbolo cattolico fortemente significativo per il Portogallo, e al quale, si era già in parte avvicinato con il cortometraggio del 2012, Morning of Saint Anthony’s Day.
"Mi interessava partire da questa figura per raccontare una storia contemporanea e al contempo mitologica, aggiungendo al tutto degli elementi biografici. Tutti i miei film si avvicinano a una dimensione fantastica, come i miracoli che a ben vedere sono fatti sovrannaturali. Nella religione stessa, attraverso la pittura sacra, si è voluto dare dei volti e dei corpi ai santi; degli esseri che sono al contempo trascendentali e fisici. I dipinti diventano quasi blasfemi talmente sono fisicamente potenti. Questa contraddizione nella religione stessa mi interessa molto, l'idea di tradurre in immagini qualcosa di trascendentale." - João Pedro Rodrigues
Per la consultazione degli altri titoli presenti nella lista sottostante, indirizzo ai due post precedenti: qui e qui.
Prima di concludere con i due film che maggiormente hanno trovato il favore del sottoscritto, procediamo con l'annotare molto velocemente i restanti lavori non segnalati nei post precedenti. Le ultime file di questo festival; cose, che ad eccezione del premiato (nel concorso Cineasti del Presente) El auge del humano (contrastante, a suo modo singolare esordio al lungometraggio dell'argentino Eduardo Williams, tipica opera in grado di dividere nettamente le opinioni per la quale indirizzo all'accurata, e senza dubbio più sentita, recensione del neo-blog Sound of my Voice), possono anche scivolare nell'oblio ma tant'è, giusto per dovere di cronaca: Wolf and Sheep di Shahrbanoo Sadat, Inimi Cicatrizate di Radu Jude (vincitore, con sconcerto, del Premio speciale della giuria) e L'indomptée di Caroline Deruas, dove l'unica fonte d'attrattiva risiede nella "rossa" Jenna Thiam, quando si dice, conturbanti presenze in grado di penetrare l'onirico maschile. Anche la Grecia ormai, con constatato rammarico, pare aver esaurito tutte le sue ingegnose risorse (al momento, resistono le fugaci visioni di Konstantina Kotzamani). Poichè Afterlov, di Stergios Paschos, è la prova evidente di un cinema all'origine illuminante, che ha progressivamente perduto la sua intemerata matrice, oramai congelata nell'asettica messa in scena di Luton (2013), dal mio punto di vista, l'ultimo grande film della new-wave ellenica. Perlomeno, è possibile assegnare ad Afterlov un ipotetico premio come visione più irritante di questo festival, anche per i suoi isterismi coniugali distanti anni luce, invece, dall'entusiastico gioco filo-erotico della coppia protagonista di Beduino; l'ennesima riconferma di un Júlio Bressane eternamente visionario e oramai stabilizzato su un territorio di ossessiva auto-rigenerazione dove lo spettatore è libero di vagare senza alcun orientamento. È la via di un cinema che, come da lui dichiaratemente espresso, fa dell'immagine un atto di divisione, il taglio con una rappresentazione del reale: "il reale non è solo quello che vediamo al telegiornale: la poesia è reale, la letteratura è reale, l’immaginazione è reale”. Beduino inizia dal set dove si concludeva Educação Sentimental, e la prima mezz'ora è fulminante: fin dalle prime inquadrature è chiaramente evidenziato il succitato pensiero dell'autore, nell'incontro "invisibile" tra i due protagonisti che, pur trovandosi a pochi passi uno dall'altra, paiono non vedersi, persi nello spazio di una proiezione scenica amplificata da quell'effetto grandangolare tanto caro al Bressane degli ultimi tempi. Per poi proseguire con un tripudio cosmico di deviazioni visivo-sensoriali (come l'incessante suono delle onde che s'infrangono sugli scogli durante la scena-manifesto ritraente la protagonista imbrigliata tra le corde di un'imbarcazione), fino a trovare il loro culmine nella surreale soggettiva di quel trenino giocattolo, intento a percorrere le metamorfiche sinuosità del corpo femminile. E in conclusione, verso una sorta di mutamenti/trasfigurazioni (in questo caso più trascendentali), è spinto il portoghese João Pedro Rodrigues, che con il discusso O Ornitólogo si porta a casa il Pardo per la miglior regia (premio facilmente pronosticato d'altronde) e costruisce quello che preferenzialmente considero il miglior lavoro della sua filmografia. Da sempre affascinato dai miti, il regista cerca di trasferire una figura come quella di San Antonio nel "camaleontico" personaggio di Fernando; ornitologo all'insegna di un viaggio iniziatico nel cuore di una foresta lussureggiante e misteriosa. Luogo dai risvolti e riferimenti pagani (la ferita nel costato) che diviene ben presto incarnazione del suo universo interiore, dando il via a un susseguirsi di visioni oniriche e trasformazioni che lo condurranno ad una sorta di liberazione dei propri desideri. Partendo da accurarte fonti biografiche, all'origine dell'opera, l'inestinguibile curiosità di Rodrigues verso la figura di questo santo (e la sua adattabilità: la natura, l'amore per gli animali), simbolo cattolico fortemente significativo per il Portogallo, e al quale, si era già in parte avvicinato con il cortometraggio del 2012, Morning of Saint Anthony’s Day.
"Mi interessava partire da questa figura per raccontare una storia contemporanea e al contempo mitologica, aggiungendo al tutto degli elementi biografici. Tutti i miei film si avvicinano a una dimensione fantastica, come i miracoli che a ben vedere sono fatti sovrannaturali. Nella religione stessa, attraverso la pittura sacra, si è voluto dare dei volti e dei corpi ai santi; degli esseri che sono al contempo trascendentali e fisici. I dipinti diventano quasi blasfemi talmente sono fisicamente potenti. Questa contraddizione nella religione stessa mi interessa molto, l'idea di tradurre in immagini qualcosa di trascendentale." - João Pedro Rodrigues
Per la consultazione degli altri titoli presenti nella lista sottostante, indirizzo ai due post precedenti: qui e qui.
LOCARNO 69: TOP 10
1) O Ornitólogo (The Ornithologist)
1) O Ornitólogo (The Ornithologist)
João Pedro Rodrigues
2) Beduino
Júlio Bressane
3) Dao Khanong
Anocha Suwichakornpong
4) L'Immense Retour (Romance)
Manon Coubia
5) Animals Under Anaesthesia: Speculations on the Dreamlife of Beasts
Melanie Shatzky, Brian M. Cassidy
6) The Hunckback
Ben Rivers, Gabriel Abrantes
7) Correspondências
Rita Avezedo Gomes
8) An Aviation Field
Joana Pimenta
9) The Sun, the Sun Blinded Me
Anka Sasnal, Wilhelm Sasnal
10) Rio Corgo
Maya Kosa, Sérgio da Costa
O Ornitologo sembra un film che vedrei molto volentieri. O Fantasma mi ricordo mi piacque un casino, il divenire del personaggio principale era incredibile. The Last Time I saw Macao lo trovai molto noioso. Aspettando con tanta attesa The Ornithologist, nel frattempo mi vedo lo short Morning of Saint Anthony's Day.
RispondiEliminaForse riesco a venire a Torino per il film festival.
O Fantasma non mi piacque, ad eccezione del finale che penso sia da considerarsi quasi d'antologia. The Last Time non l'ho visto, ma un altro del portoghese, molto apprezzato è stato Odete. Per il TFF quest'anno sto valutando pure io, aspetto il programma ufficiale per decidere.
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