João Vladimiro
Portogallo, 2013
92 minuti
"And all around it wandering ghosts wail and howl."
Premiato all'IndieLisboa Festival, la seconda pellicola del portoghese João Vladimiro si espone da subito come un oggetto pittoresco, inconsueto e radicale. È un pò come una sorta di cimelio emerso da un tempo remoto che l'umanità, stretta ed inglobata nella moderna industrializzazione, sembra aver dimenticato.
Lacrau si sviluppa quindi per retrocessione, strutturato come una galleria fotografica e suddiviso in passi citazionisti delle opere di Edmund Spenser e Stig Dagerman, procedendo come un silenzioso viaggio regressivo atto a ricreare un ambiente ancestrale che possa in qualmodo restituire quell'originaria libertà che, in fin dei conti, è componente naturale ed essenziale di noi stessi. E lo fa (dopo un breve incipt naturalistico - l'immersione di un ragazzino nelle acque di un lago incontaminato nel cuore della foresta - dal simbolismo catartico), partendo effettivamente dalla delineazione di uno scorcio urbano (la stazione di una metropolitana, con il transito dei viaggiatori, allegoricamente anime in fuga dal mondo civilizzato) per discostarsene quasi subito dirigendosi verso territori più rurali, e svelarci il quotidiano vivere di realtà locali che, come nello spagnolo Arraianos (2012), paiono oramai vivere ai confini del mondo, un processo d'estinzione. La natura, con la sua musicalità, inizia così a dominare gradualmente la scena, dal giorno alla notte (attraverso sperimentazioni visive che in parte rievocano il Kaspar Hauser di Alberto Gracia), come scolpita all'interno di un vecchio diaproiettore atto ad enfatizzarne l'aspetto arcaico, e finendo per prevalere sulla figura umana della quale infine sembra appropriarsi, assimilandone le fattezze attraverso le sue eterogenee conformità caratteristiche (il muschio, le rocce, una pozza d'acqua). Nel mentre, anche la stessa città svelataci in partenza rinuncia alla presenza umana, osservata in un processo di desertificazione atto a rivelarne bellezze artistiche e culturali che la frenesia del vivere odierno, spesso, non ci permette di cogliere; ecco dunque che statue, monumenti e castelli, si avvalgono del silenzio notturno per risplendere del loro fascino più suggestivo. E nella notte termina il suo viaggio a ritroso, Lacrau (anche con un ambizione forse eccessiva), attraverso il tentativo di un'estenuante contemplazione dell'universo stesso, che cerca in qualmodo di concretizzare quel desiderio di ricercata libertà (lo schermo nero, disturbato a tratti da flotte di uccelli in volo che paiono salmodiare, all'unisono, come un coro di angeli); di una compiuta regressione a stadi, quasi, spirituali.
Portogallo, 2013
92 minuti
"And all around it wandering ghosts wail and howl."
Premiato all'IndieLisboa Festival, la seconda pellicola del portoghese João Vladimiro si espone da subito come un oggetto pittoresco, inconsueto e radicale. È un pò come una sorta di cimelio emerso da un tempo remoto che l'umanità, stretta ed inglobata nella moderna industrializzazione, sembra aver dimenticato.
Lacrau si sviluppa quindi per retrocessione, strutturato come una galleria fotografica e suddiviso in passi citazionisti delle opere di Edmund Spenser e Stig Dagerman, procedendo come un silenzioso viaggio regressivo atto a ricreare un ambiente ancestrale che possa in qualmodo restituire quell'originaria libertà che, in fin dei conti, è componente naturale ed essenziale di noi stessi. E lo fa (dopo un breve incipt naturalistico - l'immersione di un ragazzino nelle acque di un lago incontaminato nel cuore della foresta - dal simbolismo catartico), partendo effettivamente dalla delineazione di uno scorcio urbano (la stazione di una metropolitana, con il transito dei viaggiatori, allegoricamente anime in fuga dal mondo civilizzato) per discostarsene quasi subito dirigendosi verso territori più rurali, e svelarci il quotidiano vivere di realtà locali che, come nello spagnolo Arraianos (2012), paiono oramai vivere ai confini del mondo, un processo d'estinzione. La natura, con la sua musicalità, inizia così a dominare gradualmente la scena, dal giorno alla notte (attraverso sperimentazioni visive che in parte rievocano il Kaspar Hauser di Alberto Gracia), come scolpita all'interno di un vecchio diaproiettore atto ad enfatizzarne l'aspetto arcaico, e finendo per prevalere sulla figura umana della quale infine sembra appropriarsi, assimilandone le fattezze attraverso le sue eterogenee conformità caratteristiche (il muschio, le rocce, una pozza d'acqua). Nel mentre, anche la stessa città svelataci in partenza rinuncia alla presenza umana, osservata in un processo di desertificazione atto a rivelarne bellezze artistiche e culturali che la frenesia del vivere odierno, spesso, non ci permette di cogliere; ecco dunque che statue, monumenti e castelli, si avvalgono del silenzio notturno per risplendere del loro fascino più suggestivo. E nella notte termina il suo viaggio a ritroso, Lacrau (anche con un ambizione forse eccessiva), attraverso il tentativo di un'estenuante contemplazione dell'universo stesso, che cerca in qualmodo di concretizzare quel desiderio di ricercata libertà (lo schermo nero, disturbato a tratti da flotte di uccelli in volo che paiono salmodiare, all'unisono, come un coro di angeli); di una compiuta regressione a stadi, quasi, spirituali.
Appena finito di vedere Lacrau, strano vedere un ambiente rurale montanaro immobile nel tempo che esiste parallelo a quello urbano svuotato e spettrale. La parte iniziale più' costruita sembra molto distaccata rispetto al resto del film. Interessante i momenti di quiete che danno la possibilità di ascoltare la musica ambientale. Il tema acquatico e umido sembra molto importante, forse si riferisce allo scorrere veloce del tempo, e le rocce al tempo geologico che scorre molto lentamente. La scena finale molto bella a me più' che un 'coro di angeli' mi ha fatto pensare a fantasmi. Non conoscevo Stig Degerman sicuramente ora e' nella mia lista di autori che voglio leggere. Grazie per film and riflessioni. Holding my breath for the next film.
RispondiEliminaL'idea che la scena conclusiva possa rimandare in qualmodo a fantasmi mi piace. In effetti, potrebbero essere anche le stesse persone che vediamo all'inizio, liberate dall'oppressività del mondo urbano...
EliminaComunque, se sei sempre l'anonimo del commento su "Japon", ti ringrazio oltremodo per le riflessioni qui riportate e il seguito. Magari la prossima volta apponi anche una firma a fine commento, almeno so subito che sei te, grazie :)
Mi sono visto Arraianas, mi piace l'dea che il filmato si trova tra documentario e finzione, tra studio etnografico e mitologia, vita di tutti i giorni, inframezzato da una costruita legnosa recitazione. I personaggi sembrano come ripetitori che trasmettono pensieri, senza emozioni, colpevoli di aver perso la propria identità, forse dovuto alle circostanze politiche.
RispondiEliminaMi sento come Alice in Wonderland all' interno del tuo blog! :)
Felice di sapere che il blog sia uno spazio che possa convolgerti. Vorrà dire che per ora ti considererò come una Alice nel paese delle meraviglie ;) Grazie oltremodo per trasporre qui le tue riflessioni!
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