22.7.14

Over Your Cities Grass Will Grow

Sophie Fiennes
Francia, Olanda, Uk, 2010
101 minuti

"Il mondo che vedo non è reale. È solo un’illusione. Non mi ci posso adattare. Reali sono solo quadri, poemi, brani musicali. Le opere d’arte, per me, sono come boe in un mare infinitamente privo di senso, alle quali mi aggrappo passando dall’una all’altra" - Anselm Kiefer
Assistendo ipnotizzati a quel ciclopico scenario architettonico che è Over Your Cities Grass Will Grow, presentato fuori concorso a Cannes 63, torna alla mente il "cinema scultoreo/enterico" di Matthew Barney (mi riferisco in particolare a Drawing Restraint 9 e Hoist, cortometraggio realizzato per il progetto collettivo Destricted), in quanto penetrazione del corpo-cinema in spazi/ventri adibiti a installazioni artistiche, orientate a modificare la realtà. Il documentario della britannica Sophie Fiennes (sorella dell'attore Ralph e autrice, tra gli altri, dei due The Pervert's Guide to Cinema / The Pervert's Guide to Ideology) scava infatti nell'operato di Anselm Kiefer; scultore e pittore tedesco, considerato tra i più rilevanti di una generazione di artisti formatasi nei primi anni Settanta. Allievo di Joseph Beuys alla Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf, più volte etichettato quale "neo-nazista" dalla critica tedesca (leggi wikipedia), Kiefer, attraverso la modellazione della sua contemporary art composta da dipinti e sculture "post-apocalittiche", ha saputo rappresentare una decadenza epocale che sembra ergersi inquietantemente di pari passo a quei Sette Palazzi Celesti, che dal 2004 fanno esposizione permanente all’Hangar Bicocca di Milano. Le stesse "Torri di Babele", che edificate su un terreno di 35 mila ettari nella desertica zona di Barjac (Sud della Francia), si innalzano imponenti suggellando l'epilogo di Over Your Cities Grass Will Grow e congelandosi, al tempo stesso, in una surreale opera d'arte totale. La seteria abbandonata di La Ribaute dove Kiefer, nel 1993, si trasferisce dalla Germania con l'intenzione di dar vita alla sua monumentale creazione, si trasforma così in un mausoleo di fatiscenti edifici industriali, vecchi ateliers sterrati e cuniculi realizzati appositamente per collegare le varie zone. Il risultato è la visione distopica di un pianeta ridotto a polvere di macerie; un vero e proprio cantiere di anfratti labirintici dove la cinepresa della regista si addentra con eleganza, seguendo l'artista e i suoi collaboratori in un viaggio durato diversi anni, documentandone l'intera fase di lavorazione (trasformazione/forgiatura) con indiscusso talento visivo, certo, ma peccando purtroppo sul versante strutturale, attraverso un montaggio che nella parte centrale del documentario fatica a reggere (l'intervista a Kiefer per esempio, si prolunga oltre il dovuto, finendo per stonare con la complessività dell'opera). Interessante invece, l'ottica con cui viene svelato il procedimento "alchemico" dell'artista e la metodologia del suo operato, mediante una costruzione che necessita di una continua demolizione delle materie da lui utilizzate (cenere su argilla, vetro su cemento, oro su piombo, e così discorrendo). Ecco che Kiefer rimodella il suo Mondo, mentre l'occhio della Fiennes cattura tale astrattismo contemporaneo per riversarlo all'interno di un cinema che si fa contemplativo, invertendo curiosamente la prammatica abituale, e riform(ul)andosi facilmente come addizionale. A testimonianza conclusiva infatti, restano indelebili le impronte che Kiefer, portata a termine la sua colossale installazione, ha lasciato in quel luogo prima del suo definitivo rientro a Parigi. I lenti carrelli che avanzano sinuosamente tra i blocchi cementizi che si elevano al cielo, accompagnati dai cigolanti archi sonori di György Widmann e György Ligeti, finiscono per intagliare nella memoria un ambiente suggestivo dove il tempo, e la Storia dell'umanità stessa (vedasi "la stanza dei letti", ancora riferimenti alla piaga della Germania nazista), hanno già fatto il suo corso. L'apocalisse quindi è già avvenuta, ma ci sarà sempre e comunque uno spazio, per quando "sopra le città, l'erba tornerà a crescere".

4 commenti:

  1. Ti dico la verità: con la Fiennes non ho un buon rapporto. Cioè, non credo proprio di capire il suo cinema, e questo credo sia dovuto al fatto che attraverso il cinema lei esponga una sensibilità nei confronti del postmoderno (Zizek e Kiefer appunto, ma anche von Trier) che non mi è chiara e, in tutta onestà, non mi convince nemmeno molto. Questa pellicola (combinazione, l'ho vista giusto la settimana scorsa), però, fa eccezione, non fosse altro per le maestosità delle architetture (i due film su/con Zizek, invece, a rivederli lasciano davvero frustrati e vien quasi da scagliare qualcosa contro il televisore): il dubbio, dunque, è che l'intero documentario non valga più che altro per l'opera dell'autore documentato, come è successo per "Tarr Béla, I used to be a filmmaker" e, forse in misura un po' minore, per "Manufactured landscapes"; insomma, senza nulla togliere al film in sé, mi chiedo quanto senso abbia, oggi come oggi, rendere dipendente il cinema, scardinarlo dalla sua autonomia e farne un qualcosa che ha molto più a che vedere col mezzo piuttosto che con l'oggetto che molti registi (dico a caso: Liu Jiayin) hanno dimostrato (poter) essere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il tuo discorso non fa una piega anzi, credo anch'io che il OYCGWG funzioni quasi esclusivamente a favore delle opere dell'artista, tanto che mentre scrivevo, il riferimento al documentario su Tarr mi era passato per la mente. I film su Zizek invece non li ho ancora visti (ma mi sono riletto la tua vecchia recensione, non ricordandomi che effettivamente ti aveva lasciato dei dubbi) e "Manufactured Landascapes" penso di guardarlo stasera. Ma come ho scritto, personalmente la cosa di cui più risente questo film è una struttura che non funziona, in modo particolare nella parte centrale. Concordo anche sul fatto che questo postmoderno sia alquanto incomprensibile, anche se del resto, credo di avere un certo grado di sensibilità nei suoi confronti, perchè generalmente mi affascina, e non poco, proprio per la sua forza estetica. E' ovvio quindi, che se mi piazzi davanti agli occhi un finale del genere, con quattro blocchi di cemento che sembrano sostenersi per miracolo, e tra l'altro, che nel suo insieme ho trovato perfetto (movimenti di camera, musiche, ambientazione), impossibile per uno come il sottoscritto, non lasciarsi trasportare. Ciò che una data sequenza riesce infondere dentro di te in quell'istante; è importante. E questa, è un'emozione che la Fiennes è riuscita a regalarmi, anche solo per cinque minuti.

      Elimina
    2. Sì, ci sono delle scene davvero formidabili, e in effetti il film dev'essere visto per questo solluchero estetico che, sul piano emozionale, val davvero poco ricondurre al cinema della Fiennes o all'opera architettonica di Kiefer, perché l'impatto è devastante. "Manufactured landscapes", invece, sei riuscito a vederlo? Che te ne è sembrato?

      Elimina
    3. L'ho visto, ed effettivamente anche nel suo caso credo valga più che altro come documento sull'operato dell'autore, hai ragione. Complessivamente non è male, ma ho preferito OYCGWG, senza ombra di dubbio. Ci sono parecchi momenti interessanti però, a differenza del film qui recensito, manca un vero e proprio segmento che possa entusiasmarti, come il finale di cui abbiamo parlato ieri, per esempio. Il reparto musicale invece l'ho trovato di grande impatto, direi perturbante. Da parte mia, su Mubi tre stelle, ma solo per la mancanza della mezza...

      Elimina