Nei crediti di Tremor, appare il nome di Pablo Lamar come curatore del suono; nome che non mi era nuovo perchè legato alla regia di Noche Adentro, cortometraggio argentino da tempo adocchiato e che ora, ho finalmente avuto l'occasione di vedere. C'è un interessante legame tra Ricardo Alves Jr. e Pablo Lamar (due autori da tenere assolutamente sotto osservazione), oltre alla collaborazione in Tremor; entrambi radicalizzano su un cinema (quello contemplativo) già di per sè radicalizzato, asciutto, asettico, ma che genera varchi talmente profondi su cui inevitabilmente si è costretti a riflettere, pensare. Dai loro film, emerge un lavoro che scava in modo ancor più viscerale e sanguigno; un cinema sovversivo che non trasmette parole, ma sensazioni pulsanti e che, in entrambi i casi, segue innegabilmente, ma con dignità, la lezione di un certo Carlos Reygadas.
Material bruto (Ricardo Alves jr.)
Brasile, 2006
16 minuti
Se in Tremor si parlava di assenza e morte, di un percorso che probabilmente conduceva alla morte, osservando indietro e quindi al primo lavoro di Ricardo Alves, l'assenza si manifesta in un ambiente che può già considerarsi un luogo "post-mortem", in quanto gli individui che infestano Material Bruto, sono persone che hanno perso da un pezzo la loro vitalità interiore; internati, in un centro comunitario di igiene mentale sito in Belo Horizonte, Alves ne ritrae paurosamente la quotidiana follia, raggelandoli in un bianco e nero zwartjesiano (una monocromia tipica delle avanguardie di fine anni '70). Il corpo si stabilizza in quella fissità con cui si concludeva Tremor e le psicosi vengono vomitate in faccia allo spettatore già dalla prima sequenza: il volto di una donna trasfigurato dalla sofferenza, che penetra la cinepresa prima dei titoli di testa. In mezzo a quelle anime collassate in un mondo ermetico (vedi l'uomo che chiude i balconi al nostro sguardo), ritroviamo ancora Elon Rabin (evidentemente, attore particolarmente caro al regista) qui, sconquassato da un tormento tellurico, pronto ad esplodere da un'istante all'altro. Osservandoli, in ognuno di loro possiamo percepirne l'intenso desiderio di liberarsi da "quel male oscuro" per poter tornare alla normalità, anche solamente per il tempo di un disco. Tre minuti per cantare e danzare (forte il richiamo a The Corridor di Bartas) sulle note di una canzone che forse illumina (quella luce costante che si riflette sul tavolo, oltre che alla luce richiamata nel testo), fungendo d'appiglio speranzoso per una ritrovata libertà: "The sun, shall shine once again. Light, shall reach hearts from evil, the seed will be burned. Love, will be eternal again. It is the final judment, the history between the god and the bad. I want eyes to watch, evil vanish."
Qui il film
Brasile, 2006
16 minuti
Se in Tremor si parlava di assenza e morte, di un percorso che probabilmente conduceva alla morte, osservando indietro e quindi al primo lavoro di Ricardo Alves, l'assenza si manifesta in un ambiente che può già considerarsi un luogo "post-mortem", in quanto gli individui che infestano Material Bruto, sono persone che hanno perso da un pezzo la loro vitalità interiore; internati, in un centro comunitario di igiene mentale sito in Belo Horizonte, Alves ne ritrae paurosamente la quotidiana follia, raggelandoli in un bianco e nero zwartjesiano (una monocromia tipica delle avanguardie di fine anni '70). Il corpo si stabilizza in quella fissità con cui si concludeva Tremor e le psicosi vengono vomitate in faccia allo spettatore già dalla prima sequenza: il volto di una donna trasfigurato dalla sofferenza, che penetra la cinepresa prima dei titoli di testa. In mezzo a quelle anime collassate in un mondo ermetico (vedi l'uomo che chiude i balconi al nostro sguardo), ritroviamo ancora Elon Rabin (evidentemente, attore particolarmente caro al regista) qui, sconquassato da un tormento tellurico, pronto ad esplodere da un'istante all'altro. Osservandoli, in ognuno di loro possiamo percepirne l'intenso desiderio di liberarsi da "quel male oscuro" per poter tornare alla normalità, anche solamente per il tempo di un disco. Tre minuti per cantare e danzare (forte il richiamo a The Corridor di Bartas) sulle note di una canzone che forse illumina (quella luce costante che si riflette sul tavolo, oltre che alla luce richiamata nel testo), fungendo d'appiglio speranzoso per una ritrovata libertà: "The sun, shall shine once again. Light, shall reach hearts from evil, the seed will be burned. Love, will be eternal again. It is the final judment, the history between the god and the bad. I want eyes to watch, evil vanish."
Qui il film
Noche Adentro (Pablo Lamar)
Argentina, Paraguay, 2009
18 minuti
Con questo breve-capolavoro, Pablo Lamar irrompe violentemente nel buio della notte con un frammento di sesso e morte/morte e separazione, anche se il lavoro dell'argentino, nella sua sinteticità, può tranquillamente aprire una breccia a possibili interpretazioni; dal disordine coniugale insito nelle coppie separate prematuramente, all'estreme conseguenze cui talvolta possono condurre certi "giochi erotici", fino ad arrivare alla piaga, ben più preoccupante, del femminicidio. Al momento restano comunque solamente lampi di lettura, visto che Lamar procede minuziosamente per sottrazioni. Noche Adentro è, innanzitutto, il peso della morte portato da un uomo; il peso di un corpo, quello di una giovane sposa macchiata di sangue... Ma facciamo un passo indietro. "Scene da un matrimonio": incipt fuorviante, gioia effimera che ben presto si tramuta in tragedia. Un incidente, forse, ma che a noi non è dato sapere con certezza in quanto escluso alla nostra vista tramite uno spazio nero, un vuoto temporale che ci catapulta recisamente nel dopo, all'interno di una presunta camera d'albergo: l'impatto è scioccante, quanto un Reygadas in Battaglia nel Cielo oppure un Dumont, ne L'Umanità... Da questo momento in poi, Lamar gioca tutto sulla percettività delle azioni; attraverso dissolvenze focali alla Grandrieux, campi lunghi tassativamente a camera fissa (il corpo trascinato giù dalla scalinata - l'interminabile percorso in quel vicolo che sfocia sul fiume) e illuminazione ridotta al minimo. Una visibilità che si risolve al chiaro di luna, tanto basta per insinuare un forte senso di suggestione, nell'osservare la lenta carrellata che sorvola il corpo della sposa nel suo deflusso fluviale; l'abito bianco, le chiazze emoglobiniche, tutto è accompagnato da schegge selenitiche che stagliandosi in quello specchio d'acqua, riflettono "la separazione" e l'abbandono.
Personalmente, uno dei migliori cortometraggi visti finora... Qui
Argentina, Paraguay, 2009
18 minuti
Con questo breve-capolavoro, Pablo Lamar irrompe violentemente nel buio della notte con un frammento di sesso e morte/morte e separazione, anche se il lavoro dell'argentino, nella sua sinteticità, può tranquillamente aprire una breccia a possibili interpretazioni; dal disordine coniugale insito nelle coppie separate prematuramente, all'estreme conseguenze cui talvolta possono condurre certi "giochi erotici", fino ad arrivare alla piaga, ben più preoccupante, del femminicidio. Al momento restano comunque solamente lampi di lettura, visto che Lamar procede minuziosamente per sottrazioni. Noche Adentro è, innanzitutto, il peso della morte portato da un uomo; il peso di un corpo, quello di una giovane sposa macchiata di sangue... Ma facciamo un passo indietro. "Scene da un matrimonio": incipt fuorviante, gioia effimera che ben presto si tramuta in tragedia. Un incidente, forse, ma che a noi non è dato sapere con certezza in quanto escluso alla nostra vista tramite uno spazio nero, un vuoto temporale che ci catapulta recisamente nel dopo, all'interno di una presunta camera d'albergo: l'impatto è scioccante, quanto un Reygadas in Battaglia nel Cielo oppure un Dumont, ne L'Umanità... Da questo momento in poi, Lamar gioca tutto sulla percettività delle azioni; attraverso dissolvenze focali alla Grandrieux, campi lunghi tassativamente a camera fissa (il corpo trascinato giù dalla scalinata - l'interminabile percorso in quel vicolo che sfocia sul fiume) e illuminazione ridotta al minimo. Una visibilità che si risolve al chiaro di luna, tanto basta per insinuare un forte senso di suggestione, nell'osservare la lenta carrellata che sorvola il corpo della sposa nel suo deflusso fluviale; l'abito bianco, le chiazze emoglobiniche, tutto è accompagnato da schegge selenitiche che stagliandosi in quello specchio d'acqua, riflettono "la separazione" e l'abbandono.
Personalmente, uno dei migliori cortometraggi visti finora... Qui
Noche Adentro è davvero inquietante. Si rimane attoniti" nell'osservare la lenta carrellata che sorvola il corpo della sposa nel suo deflusso fluviale; l'abito bianco, le chiazze emoglobiniche, tutto è accompagnato da schegge selenitiche che stagliandosi in quello specchio d'acqua, riflettono "la separazione" e l'abbandono"
RispondiEliminaGrazie!!
Già, il finale è la cosa migliore, con quella lenta navigazione al chiaro di luna, i riflessi sull'acqua... Suggestivo! Grazie a lei signor bombus; la sua soddisfazione è per me, il miglior premio :)
EliminaChe botta che è "Noche adentro"! Hai detto benissimo, "Noche Adentro è, innanzitutto, il peso della morte portato da un uomo; il peso di un corpo, quello di una giovane sposa macchiata di sangue". Se Kundera parlava dell'insostenibile leggerezza dell'essere, qui si potrebbe parlare di una morte che alleggerisce l'insostenibilità del corpo, o della morte inscritta nel corpo - non so. Abbagliante, comunque, nella sua occlusività disperante.
RispondiEliminaInfatti mi ha ricordato grandrieux, anche per questa oscurità invadente che raggiunge il culmine nel finale. Chiudere il film con l'acqua, illuminata a frammenti solo dalla luna secondo me è una genialata... E si, una gran botta "Noche Adentro", hai ragione!
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