5.6.17

Boris sans Béatrice

Denis Côté
Canada, 2016
93 minuti

Con il gran numero di film archiviati sui quali si potrebbero spendere due parole, perchè scrivere di Côté e un film (presentato alla 66a Berlinale) come Boris sans Béatrice? Non brilla di certo come il miglior Côté (ma nemmeno il peggiore, a dirla tutta, e poi ci arriviamo) quindi, la quasi certezza è un lapsus dell'inconscio dove piccole schegge del film hanno comunque lavorato durante il sonno.
Alla stregua del "sonno della ragione" che ha colpito l'inerte Béatrice; ministro del governo canadese e moglie del fedifrago Boris, ricco e protervo imprenditore che, imputato della malattia della consorte da un misterioso personaggio, verrà presto chiamato a patti con la propria coscienza...
Di sicuro non è mai stato il racconto a spingere nel cinema di Côté, in quanto è più l'ineccepibile impostazione formale a prevalere. Il canadese resta a suo modo un regista interessante ma che per inclinazioni del sottoscritto non ha mai raggiunto pieni favoritismi. Eccezion fatta per Bestiaire (2012) che però, attenzione, va considerato a tutti gli effetti come un outsider nella sua filmografia, in quanto di matrice documentaristica e quindi, alquanto lontano dall'abituale campionario puramente finzionale di film come Vic+Flo Saw a Bear (2013), Elle veut le chaos (2008), Curling (2010) o il qui presente BsB, i quali, diciamolo, stanno più o meno tutti allineati lì sullo stesso binario, al limite della sufficienza insomma. Non vale quindi nel discorso qui intessuto, sostanzialmente, su un autore che di norma indugia "sospeso" o (in)sospeso, al centro di quell'asse oramai sempre più labile posta a distinzione dei generi; tra l'art-house e il thriller (e ancora ritornano: Vic+Flo / Elle veut le chaos, forse i film più vicini a questo BsB) e tra i quali finisce spesso per confondersi, perdersi, senza trovare una più incisiva direzione. Ma un Côté lo si fruisce sempre volentieri, anche se per svolte diegetiche appare come chi lancia il sasso e poi ritira la mano. Si è comunque spinti a proseguire con la visione quasi per influsso magico, poichè segnali di un certo estro visionario è possibilie scorgerli. Peccato questi finiscano poi per scivolare sotto la patina dell'inespresso, non si completino e si arrestino lì. Anche BsB dunque, come gli altri lavori, non valica oltre determinate soglie; non osa e non eccede, non trascende l'immaginario personale (e il comune contesto di un cinema improntato alla sottrazione, non vale come scusante per non azzardare). Specie quando la storia all'origine può concederlo o peggio, per menzionato appunto, farlo immaginare (date in mano un soggetto come BsB a un Reygadas, per ipotesi, e conteremo senz'altro con gioia le sorprese), poichè soffocata da una linearità strutturale fondamentalmente travestita, la quale finisce per alimentare miraggi della mente. Per la sequenza conclusiva della "scoperta/confronto", ad esempio, considerati i precedenti caricaturali di Boris, era anche lecito aspettarsi qualcosa di più obliquo e/o maliziosamente "peccaminoso" ma tutto si risolve in maniera alquanto insipida (o ripensando al peggior Cronenberg, quello di Cosmopolis) con uno sfibrante monologo dell'ormai onnipresente Denis Lavant; anche lui stanco, invecchiato (paiono passati vent'anni da Holy Motors!), una maschera privata del suo innato potenziale. Esso non riconferma altro che quell'assenza d'empatia, purtroppo, con i personaggi che da sempre popolano il cinema di Côté; cinema che pare ora convogliare nel manifesto di BsB (il protagonista "scolpito" su sfondo marmoreo/lapideo) a totale rappresentazione di sè stesso. L'emotività non può che scivolare anch'essa nelle crepe della catatonia integrandosi con l'altolocata sterilità degli ambienti scansionati, dove Boris e Béatrice cercano di rianimare un rapporto incrinato e logoro, i cui unici "pezzi di vita" sono intrappolati nella grana analogica di frammentarie immagini-ricordo, piazzate un pò lì, come lo stesso autore, nell'orizzonte dell'incertezza. Ma un Côté, dicevamo, alla fine lo si fruisce sempre di buon grado, e il ricordo di questo BsB rimarrà tuttavia impresso per quella stilizzazione dei simbolismi; allegorici (le inquietanti maschere al museo) o autoreferenziali che siano (il "bestiario" onirico che ritorna, stavolta nella mente di una Béatrice eburnea ripresa fuori fuoco, al margine inferiore dello schermo) poco importa: d'immagini si forma il cinema, e tanto basta per riservargli un piccolo spazio nella memoria.



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