11.5.17

Womb

Scott Barley
Uk, 2017
17 minuti

Nell'"anatomizzare" Womb, l'ultimo cortometraggio di Scott Barley, e il suo movimento di corpi lividi sospesi nel buio, è opportuno partire fin dal principio evidenziando un parallelo che per marcata affinità estetica con lo stile visivo di un autore quale Philippe Grandrieux e i suoi film-installazione più sperimentali (nello specifico, White Epilepsy), potrà anche far storcere il naso a qualcuno o sembrare inglorioso, ma che a modesto avviso risulta essenziale per discernerne con migliore cognizione le finalità.

Senza contare, oltretutto, del comune interesse dimostrato per i visionari affreschi di Francis Bacon, il termine ultimo di Barley è legittimato da una coerenza con il suo antecedente modus operandi che non può dar luogo a equivoci; tant'è che basterebbe ripensare per un attimo al trentottesimo minuto di Sleep Has Her House (a partire da quello spazio nero costellato di microstelle, per intenderci), per avere una riconferma di come l'oscurità presente nei suoi film cerchi, comunque vada, una direzione attraverso l'alto, un'elevazione verso la luce e quindi, verso l'illimitatezza del cosmo e alla costante riflessione perseguita su di esso. Un'ascesa, dove all'opposto, l'opera del francese (alla quale si fa riferimento qui, nell'articolo su Meurtrière) appare assai come una discesa agli inferi, o un'originare dagli stessi; dai profondi abissi dell'ancestrale umano dove i corpi, lottano, danzano e si compenetrano come posseduti da istinti ferini. Al contrario invece, Womb, fa in modo di generare/partorire le sue creature notturne proprio da un'angolazione antitetica come può esserla quella del cielo, manifestandone la "nascita" attraverso un'immagine-costellazione che diviene immediatamente simbolo universale del ventre materno. Un varco dalla forma ovale che si profila al centro dello spazio stellato finchè, allargandosi, lascia campo a una processione/cerimonia dell'indistinto (pre)umano. Corpi che nella loro diafanità appaiono tali solo apparentemente, per quanto ancora precocemente accostabili a primitive forme organiche scivolate e fluttuanti in uno spazio amniotco. E in definitiva, non c'è poi molto da percepire oltre all'abbuiamento uterino-dimensionale nel quale, essi, lentamente acquistano primaria coscienza attraverso un moto quasi metamorfico, cercando di attivare ogni minima funzione dei propri muscoli, della propria nervatura, "radiografata" con millimetrica precisione da un'occhio-obiettivo che d'impatto finisce per illuminare il dettaglio... Per l'appunto, come sopraddetto, fonte luminosa che ancora una volta nell'operato di Barley riesce a trapassare l'imperscrutabile, e verso la quale, ora, una mano protende con graduale distinzione: tunnel embrionale che conduce come per magia alla vita, e dinnanzi alla quale, presto, l'intero organismo raffigurato potrà rivelarsi.

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