8.12.14

Girimunho (Swirl)

Helvécio Marins Jr, Clarissa Campolina
Brasile, Spagna, Germania, 2011
88 minuti

Imaginando la vida, è il messaggio riportato in alcuni fiani di Girimunho, esordio al lungometraggio di Marins e Campolina, presentato a Venezia '68 nella sezione Orizzonti. Immaginando una vita che assume i colori delle luci che illuminano San Paolo del Brasile e che si accendono, sfavillanti, nei sogni di Bastu: tenera ottuagenaria piena di vitalità, dai capelli argentei e dal sorriso contagioso, magnetico. Nonostante in lei sia ancora vivido il ricordo del defunto marito, una presenza a volte ingombrante, che sembra non voler abbandonare le fatiscenti mura della vecchia sartoria dove la donna ancora si reca.
La sua vita è condivisa tra l'affetto della nipote e la passione dell'amica Maria per la musica, le danze folcloristiche che animano le notti del piccolo e remoto villaggio di São Romão; una manciata di anime, esplorate nella semplicità dei loro gesti quotidiani, documentate con ammirevole onestà dalla coppia di registi per renderci partecipi delle loro esistenze. Il volto di Bastu, segnato dall'avanzare della vita, è la proiezione etnografica di un intero popolo, avvolto nei suoi ritmi e le sue cantilene, in quella musicalità che ne esalta le atmosfere sospese tra ilare e nostalgico. Parecchie, sono le affinità con il bellissimo film della connazionale Julia Murat (Historias que só existem quando lembradas), a cominciare dalla rappresentazione di simili vite radicate in luoghi prevalentemente dalla scenografia rupestre (l'esperienza maturata dagli autori nel campo delle arti visive è certamente significativa, oltre che per una resa cromatica dell'immagine encomiabile, proprio per l'abilità nell'armonizzare corpi e superfici murali, in maniera fascinosa) che assumono la capacità d'immortalare il tempo pregnandolo di sogni e desideri irrealizzati. Abitanti dalla vita semplice; anziani, giovani, eternamente sospesi in una realtà arcaica nella quale l'età di mezzo sembra essersi estinta. Probabilmente, dopo aver trovato il coraggio di lasciare quel luogo per raggiungere terre che potessero offrire nuove opportunità o forse, proprio quella São Paulo che Bastu, nella sua vita, non ha mai avuto occasione di raggiungere ma solamente immaginare, navigando col pensiero, seduta di fronte all'orizzonte oceanico. L'oceano, il mare: sconfinato manto acquatico che come il mulinello indicato dal titolo simboleggia la continua rotazione della vita, di esistenze, di etnie. Quello che suggella gli ultimi cinque, estatici minuti, e nel quale ci bagniamo i piedi seguendo da lontano l'anziana protagonista. Ecco, che il mare, non può che estendersi a veicolo essenziale per il defluire dei propri ricordi a lungo conservati (commovente l'abbandono del vestiario, che lentamente affonda nell'acqua luccicante, sotto il riflesso solare) e al contempo, infondere continua speranza nel futuro, solamente contemplandone la sua spazialità.

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