22.2.14

Bovines (ou la vraie vie des vaches)

Emmanuel Gras
Francia, 2011
61 minuti
 

Occorre sensibilità, innanzitutto...
Mesi addietro si era parlato del docu-film Bestiaire, nel quale il canadese Denis Cotè indirizzava il nostro sguardo verso quello dell'animale, ponendoci a un riflessivo confronto mediante una curatissima esplorazione di varie specie abitanti il Parco Safari di Montreal. Precedentemente però, i cugini d'oltralpe concepirono un'operazione simile con questo Bovines (la cui introduzione, da noi, suona semplicemente come: la vera vita delle vacche).
Ancora più documentaristico e per certi versi, radicale, in quanto intenzionato a restringere il cerchio specificatamente sull'osservazione di questi placidi animali. Il lavoro svolto dal regista Emmanuel Gras è veramente encomiabile, sotto tutti gli aspetti, e nulla ha da invidiare alla tecnica sopraffina di Cotè, tracciando dettagliatamente le giornate-tipo di un branco di bovini, immortalati a passo lento nel loro naturale paesaggio bucolico. Possiamo dunque seguirne il loro ritmo pacato, al pascolo nelle ampie praterie, inteti a ruminare o semplicemente sdraiati sull'erba, pronti a ripararsi da un improvviso temporale in attesa che cali la notte. Il tutto, alternato alla compresenza dell'uomo e del suo operato giornaliero, mediante il trasporto dei suddetti animali; una realtà agreste, purtroppo sempre più rara a vedersi. Gras non rinuncia a nulla, nemmeno a una sottile critica ecologista (vedasi il sacchetto di plastica, trasportato dal vento in direzione di un albero solitario), cercando anzi di catturare alla perfezione (grazie anche a dei colpi di fortuna, certamente) ogni possibile istante compreso quello, meraviglioso, della vita che si genera, filmando in tempo reale la nascita di un vitellino (ma già un anno prima, ne Le Quattro Volte, il nostro Michelangelo Frammartino ci inteneriva con la nascita di una capretta). Attraverso una spontaneità disarmante, il regista francese riesce a far emergere un "peso" che non è solamente fisico, inducendo lo spettatore (quello più sensibile, ovvio, propenso a lasciarsi trasportare emotivamente) ad empatizzare immediatamente con l'animale. La soffermazione della cinepresa sulla sua epidermide, scrutata più volte mediante primissimi piani, è atta ad interiorizzare, e come in Bestiaire (ma forse, ancor di più) l'obiettivo è oltrepassare il corpo per mettere totalmente a nudo gli istinti e soprattutto, i sentimenti dell'animale. Sentimenti: una parola sulla quale è opportuno soffermarsi un attimo (prima di concludere con una curiosità), visto episodi deplorevoli come quello occorso allo zoo di Copenaghen, o stolte dichiarazioni udite di recente alla solita tv dei "benpensanti"; occorre sensibilità, innanzitutto. Se qualcuno è ancora convinto che la cosiddetta "bestia" sia immune dal provarne, di sentimenti, allora l'invito è di spendere se non altro dieci minuti per il commovente finale di questo Bovines, dove emerge in maniera tangibile tutta l'afflizione dell'animale procurata dal distacco dei propri simili, la "propria famiglia". Sono sicuro che resteranno  impressi gli echi di quel muggito, toccante, che si estende oltre il filo spinato eretto come simbolo di separazione.
A lodevole esempio, invece, il film è stato proiettato al Gran Paradiso Film Festival davanti a una platea mista; una serata speciale dove i bovini di Cogne hanno pascolato durante la proiezione tra gli spettatori, immersi in un ambiente adeguatamente composto da balle di fieno, coperte e latte caldo.

8 commenti:

  1. Come ti dicevo da me, è un documentario che mi è piaciuto a metà. A rivederlo, mi ha convinto maggiormente, ma non lo considero sulle mie corde. Apprezzo soprattutto i ritmi che vi traspaiono, ritmi ciclici e rutilanti che sembrano fermare il tempo o quantomeno rimaneggiarlo. Apprezzo anche diverse inquadrature e l'idea che sta alla base del film, nonché quella spontaneità disarmante di cui tu parli, ma per il resto mi è risultato un documentario se non piatto sicuramente troppo esclusivamente impressionista.

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    1. Io credo che la mia passione per gli animali mi abbia un pò condizionato, portandomi ad apprezzarlo magari più del suo reale valore. A ogni modo, visto che fai riferimento ai ritmi ciclici, probabilmente ti entusiasmerà di più il film di Frammartino, Le Quattro Volte.

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    2. Sì, "Le quattro volte" mi è piaciuto parecchio, più de "Il dono" forse. Comunque, ripeto, questo è senza dubbio un film interessante e pregevole, specie dal punto di vista estetico; il mio problema è che non l'ho visto andare o spingersi oltre. C'è un potenziale mostruoso in questo film e le riflessioni a riguardo (cose come animalità, contadinità, temporalità etc.) potrebbero essere innumerevoli, e uso il condizionale perché appunto, per quanto mosse dal film, risulterebbero in una qualche maniera a esso slegate - non so se mi spiego.

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    3. Si, ho compreso benissimo cosa intendi, conoscendo anche lo stile di documentari su cui tendi a orientarti, senza dubbio costruiti più accuratamente su vari livelli di approfondimento. E' indubbio che qui le potenzialità c'erano, però il risultato è effettivamente più "classico", più lineare, se così possiamo definirlo, ma stranamente, è comunque qualcosa che ho apprezzato alla grande.

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    4. Eh, ci credo! Esteticamente è da brividi e di per sé è uno dei documentari più toccanti che mi siano capitati di vedere: mi viene in mente "Feng ai", ma qui siamo su tutt'altro pianeta perché fondamentalmente si tratta di animali, e non è facile, visto il soggetto, colpire così profondamente a livello emotivo lo spettatore. "Sono sicuro che resteranno impressi gli echi di quel muggito, toccante, che si estende oltre il filo spinato eretto come simbolo di separazione", non potevi dirlo meglio; leggendo questa frase mi è, un po' sconclusionatamente se vuoi, venuta in mente la frase di de André ne "Il suonatore Jones":

      Libertà l'ho vista dormire
      nei campi coltivati
      a cielo e denaro
      a cielo ed amore
      protetta da un filo spinato.

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    5. Per niente sconclusionata, ci sta invece, bel riferimento ;)
      Approfitto del commento per ringraziarti: ieri sera ho visto "Hamaca Paraguaya", e inutile ribadire che hai fatto centro per l'ennesima volta con un grandissimo film. Comunque ho lasciato due impressioni da te!

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  2. Con quegli "echi di quel muggito, toccante, che si estende oltre il filo spinato eretto come simbolo di separazione" mi hai fatto venire voglia di vederlo questo documentario. Forse non ci piace ricordarlo, ma quel latte che ci mettono la mattina nel cappuccino non è altro che il latte che sarebbe dovuto servire ad allattare un vitellino che non c'è più, strappato alla madre per ricavarne bistecche. Non sono vegetariano, questo no, ma quando ci penso mi sento estremamente in colpa.

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    1. Nemmeno io sono vegetariano, però posso capirti, a chi lo dici. Il soffermarsi a pensare al destino di certi animali, per chi (ripeto) ha una certa sensibilità, porta molto spesso a sentirsi in colpa, lasciandoti quella spiacevole sensazione di tristezza. D'altro canto, purtroppo, questa è la cosiddetta "legge" della natura. Comunque è un bellissimo documentario, visto il tuo coinvolgimento verso gli animali, lo apprezzerai di sicuro!

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