5.1.21

SIMONA, e l'occhio occultato di Bataille

Patrick Longchamps
Belgio, Italia, 1974
82 minuti

Dalle voci raccolte fino a questo momento, Simona (Simone, incarnata da una giovanissima e radiosa Laura Antonelli) viene da sempre descritto come il film che, più di ogni altro, ricalca in modo 'letterale' l'opera surrealista dalla quale prende le mosse; quella provocatoria Histoire de l'oeil di batailleiana memoria (Storia dell'occhio - Georges Bataille, 1928), scritta inoltre in quel fervente periodo storico che correva parallelamente alla nascita del Movimento 'Il Manifesto Surrealista' di Andrè Breton, e che si accingeva a spalancare 'l'occhio', riformando/recidendo lo sguardo cinematografico come una lama di rasoio sotto "la luna scissa dal passaggio di una nuvola" nel capolavoro di Buñuel e Dalì, Un chien andalou (1929). Nonostante ciò, qui da noi il romanzo di Bataille non vide luce per oltre quarant'anni finchè, la casa editrice L'Airone, nel 1969 non decise di riesumarlo pubblicandolo con il titolo di Simona, che però venne immediatamente sequestrato, fino alle riedizioni successive.

Diciamo che i suddetti precedenti sono stati la spinta decisiva per visionare, con notevole ritardo ammetto, rispetto ai tempi in cui affrontavo questi 'territori surrealisti', la trasposizione filmica di Patrick Longchamps. Ora, la prima impressione, con una lieve nota di disincanto, è però quella di trovarsi dinnanzi a un film in qualche modo irrisolto nel concetto prefissato; disgiunto tra l'ispirato e l'esitante, poichè stenta nell'inscenare con efficace spirito quella dimensione dissoluta che nel romanzo di Bataille inebria o conturba, a seconda dei casi, il lettore sin dalle prime righe. Dal punto di vista narrativo, Simona mira a un orientamento pressochè invariato (seppur zoppicante) rispetto al romanzo o meglio, c'è una tendenza a delineare le vicende della sua prima parte, quella che introduce i giovani protagonisti (Simone, Marcelle e il narratore senza nome che nel film chiameranno George) svelandone il perverso legame passionale, per poi allontanarsene, costruendo un prosieguo indubbiamente più ingegnoso dalla prospettiva autoriale, ma difettoso da quella più viscerale e simbolica, che dovrebbe essenzialmente alimentare film con questi intenti. L'introduzione di altri due personaggi inesistenti nel romanzo (il padre di Marcelle e lo zio, uniti a lei da un rapporto torbido), fanno comunque assumere al film toni visionari di un certo rilievo. In particolar modo, per quanto concerne la dimensione funerea e malinconica che cala sull'esistenza della sventurata Marcelle, raffigurata quasi costantemente come una presenza fantasmatica, ancor prima della sua morte (memorabile la danza tra Marcelle e Simona, avvoltolate in camici bianchi al chiaro di luna). Suggestivi gli interni della villa/prigione della ragazza, vagamente rievocanti il gotico del decennio precedente e, squisitamente surrealista infine, la 'resurrezione' degli animali impagliati; tutti momenti che, paradossalmente, nel loro distacco dal riferimento letterario d'origine, finiscono per costituire senza dubbio il miglior risultato del film.
 
Riguardo all'aspirazione batailleiana invece, come accennato in precedenza, permane un appunto di delusione. Fatta eccezione per il primo amplesso dei tre giovani sulla spiaggia, con i corpi avvinti dall'implacabilità dei sensi sotto un temporale enfatizzato - 
"Calda, la pioggia lavava, nella sua torrenziale abbondanza, i nostri corpi. Il gran tuonare del cielo ci scuoteva, aumentando la nostra furia che ci costringeva a urlare gli urli più eccessivi: ad ogni lampo che ci mostrava le nostre parti sessuali." (1) 
- e che ben raffigura l'immaginario batailleiano, molto di quanto esposto in Histoire, purtroppo è 'reciso', metaforicamente. Assenza di particolari rilevanti a cominciare dall'emblema stesso che rappresenta l'opera batailleiana; quella forma organica ovoide e biancastra che corrisponde al nome di 'occhio', attraversando tutti i suoi eccentrici parallelismi: -  
"Bulinare, gli occhi, con un rasoio, qualcosa di rosso, il sole? E l'uovo? Un occhio di vitello, forse per il colore della testa; e, d'altra parte, il bianco dell'uovo non era il bianco dell'occhio? E il rosso la pupilla? La forma dell'occhio è, se si fa attenzione, la stessa dell'uovo." (2) 
- l'occhio enucleato del torero, ad esempio, non è contemplato. Nel caso delle uova, qualcosa emerge, scivolando timidamente sull'epidermide dei corpi, in un paio di scene abbozzate che però non raggiungono minimamente la forza letteraria espressa da Bataille (dove le uova, sgusciate e viscose, attraversano continuamente gli orifizi). Anche le innumerevoli 'piogge dorate', vengono celate quasi totalmente alla vista, relegate all'interno dello stesso armadio normanno dove Marcelle si rinchiude durante quella che avrebbe dovuto raffigurare la più celebre delle sue crisi psicotiche, mentre all'esterno, tutta la concupiscente celebrazione di corpi immaginata dallo scrittore francese, viene qui prontamente mitigata. Stessa sorte per l'urina che macchia il lenzuolo appeso alla finestra della camera di Marcelle, dove a sostituirla c'è del sangue. E del tutto omessa è la terza parte del romanzo, la più iconoclasta, quella che vede l'apparizione del personaggio di Sir Edmund durante il viaggio di Simona e George in Spagna; "sotto il sole di Siviglia", recita il capitolo XI. La caliente terra di corride, nel film viene appena indicata come tracciamento di confini (incipt ed epilogo) senza mai venir solcata con audacia, nelle viscere:
"Due globi della stessa grandezza e consistenza si erano animati di movimenti contrari e simultanei. Un testicolo bianco di toro era penetrato nella carne «rosa e nera» di Simona; un occhio era uscito dalla testa del giovane torero." (3) 
 

Tuttavia, oltre al succitato estratto della corrida, c'è un altro tentato riferimento, strutturalmente collocato in un punto approssimativo del montaggio, dove Simona seduce un giovane diacono, masturbandolo ai limitari di una strada di campagna. D'altronde, e comprensibilmente, nell'Italia di quei tempi l'estremismo del soggetto avrebbe di certo comportato problemi nella distribuzione.
A conti fatti, parlando di film estremi, il Salò di Pasolini non era ancora apparso ma all'estero, nello stesso anno di Simona usciva Sweet Movie di Makavejev (senza contare i precedenti e dissacratori lavori di Jodorowsky, Arrabal, Corkidi). E di lì a poco, anche l'Italia presentò il proprio magnum opus surrealista: quel Spell cavalloniano (4) dove, osservando sottocute, c'è molta più Storia dell'occhio rispetto al film di Longchamps... Forse, un'occasione in leggera parte mancata.

(1) Georges Bataille, "Storia dell'occhio" / capitolo I
(2) Georges Bataille, "Storia dell'occhio" / capitolo V
(3) Georges Bataille, "Storia dell'occhio" / capitolo XI
(4) L'uomo, la donna e la bestia aka Spell, dolce mattatoio (Alberto Cavallone, 1977)

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