2.3.20

All the Cities of the North (Svi severni gradovi)

Dane Komljen
Serbia, Bosnia, Montenegro, 2016
100 minuti

"Il cinema è uno spazio di rifugio, e una macchina fotografica è in un certo senso un'entità disinteressata. Ha il potere di abbracciare tutto ciò che si trova di fronte ad essa. Mi è sembrato logico includere il mezzo cinema nel mio film..."

All the Cities of the North, esordio al lungometraggio per Dane Komljen dopo una serie di short films con i quali si è procurato una certa fama nei migliori circuiti festivalieri (da Rotterdam al FID di Marsiglia), si apre proprio sul fermo immagine sgranato di una sala cinematografica vuota. Luogo che oltre a simboleggiare una sorta di rifugio per l'umanità rappresentata si fa al contempo spazio proiezionale del sogno utopico che da lì a poco ci verrà svelato: quello di due uomini, dimoranti in un complesso alberghiero abbandonato al confine tra il Montenegro e l'Albania. Isolati, senza elettricità ne acqua, si nutrono di bacche raccolte dagli alberi e all'occorrenza cucinano su un fornelletto a gas. Dormono su vecchi materassi o all'interno di una tenda blu montata in una delle stanze. La loro presenza in quel luogo non è spiegata poichè non c'è comunicazione verbale, allo stesso modo di come appaiono interrotti i contatti con il mondo esterno. Ma sta per arrivare un terzo uomo, e successivamente, l'inaspettata apparizione di una troupe cinematografica (ulteriore rafforzo dell'aspetto finzionale del mezzo cinema). Elementi, forse, di possibile dissesto all'interno di un nucleo intenzionato a (ri)costruire un habitat autonomo ma che, nonostante l'epilogo faccia poi insorgere qualche perplessità sul reale funzionamento di questo collettivo, sembra aver comunque trovato una propria appagante dimensione.

"Il desiderio di immaginare un nuovo ordine di cose", è il fondamentale pensiero descritto da Komljen; un pensiero che nell'ottica del quotidiano indirizza alla possibilità di nuove convivenze, integrazioni, a una riunione di tutti quegli insiemi politici e sociali, e che trova la propria edificazione nel suggestivo scenario architettonico dei luoghi ritratti di volta in volta, dal Medio Oriente all'Africa, al Brasile: cartoline che attraversano il nostro sguardo, come "tutte le città del Nord" a cui l'immaginazione ricorre durante i numerosi istanti in cui i corpi si abbandonano a un torpore quasi letargico, spalancando scenari. Spazi e civiltà tanto distanti geograficamente, quanto unite nell'immaginario onirico e ideologico degli occupanti del "cubo"* nonchè, nei passi citazionisti (da Godard a Simone Weil) che animano i loro pensieri, narrati a turno esclusivamente da una voce fuori campo. Ed è sostanzialmente il linguaggio del pensiero a dominare l'opera modernista di Komljen, una trasmissione che diviene compensazione essenziale alla suddetta mancanza d'interazione verbale tra gli attori. Un'assenza comunicativa che porta giustamente il cineasta bosniaco a potenzializzare l'aspetto formale del film, enfatizzando quel minimalismo cardine dove l'uomo, viene dipinto attraverso i dettagli del proprio isolamento, nei riflessi di una solitudine interiore trasudante come in un affresco dalle rievocazioni bartasiane. Anime infisse lì, tra il silenzio bucolico e le geometrie avanguardiste, spazio di convergenze che possa in qual modo ristabilire un momentaneo ritorno alle origini. Il tempo necessario affinchè il principio d'ideazione consegua il giusto potere per mutare in forma attiva; Il tempo necessario, per la possibile ricostruzione di una civiltà diversa. Fino a che, magari, ogni pensiero possa riflettere una propria luce sul mondo, come simbolicamente sembra profetizzare la fascinosa sequenza delle tende sistemate alle finestre, che all'imbrunire, risplendono di lucenti colori, conferendo rinnovato decoro all'inospitalità del paesaggio fino a quel momento raffigurato.

* La struttura alberghiera dove è stato girato il film è in demolizione. Ne resta solo una parte, che Komljen ha utilizzato per le riprese: una serie di bungalow a schiera dal disegno futurista, che ricordano la forma di un cubo bianco.




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