16.8.16

69° Festival del Film Locarno: resoconti personali (parte 1)

Quest'anno è davvero volata: nemmeno il tempo d'immaginarselo, il festival, e ci si ritrova nuovamente qui davanti allo schermo del pc per annotarne le impressioni. Cinque giorni di proiezioni durante i quali di materiale visionato c'è ne stato parecchio, nonostante alcuni film tra quelli in programma sono inevitabilmente sfuggiti, normale prassi d'altronde, quando poi ci si ritrova immersi direttamente nel caos dell'ambiente festivaliero. È comunque una media giornaliera di visioni che si è alzata non di poco, se confrontata alle edizioni scorse.
Peccato solo che la media qualitativa, quella che alla fine conta per dei resoconti soddisfacenti (specie per l'etica di un blog come questo, intento più a salvare le opere che non a distruggerle) si sia rivelata, con molta probabilità, la più bassa tra tutte le edizioni a cui ho partecipato finora. Cosa che invero si risentiva già dall'anno scorso ma che almeno, due opere dall'impatto notevole (Akerman e Rivers), il festival le aveva concesse. Mentre di questo Locarno 69, per immediata sensazione, resistono solamente due ottimi film (O Ornitólogo - premiato per la miglior regia - e Beduino, del veterano Júlio Bressane, presenza immancabile), ma comunque dalle opinioni contrastanti, e una manciata di lavori interessanti che sulla carta promettevano decisamente oltre. Stando pure di manica larga, diciamo che nel complesso si può arrivare a stendere una top ten, facendo rientrare agli ultimi posti alcuni film proprio per il cosiddetto rotto della cuffia. Discorso a parte, merita l'annotazione di due opere orientali d'indubbio valore folcloristico e tutto sommato anche godibili quali, Monk of the Sea di Rafał Skalski (sul ritiro spirituale di un giovane che, attratto dalla vita notturna Bangkok, deve ora dimostrare il proprio percorso di maturità affrontando le rigide regole del buddismo) ed Hema Hema: Sing me a Song While I Wait di Khyentse Norbu, interessante storia sui rituali che ogni dodici anni trovano compimento nella foresta del Bhutan. Nonchè, il pregevole documentario dell'italiana Laura Vezzoli, che con il suo La natura delle cose, entra con mirabile discrezione nella casa e nella vita di Angelo Santagostino, un uomo malato di SLA, diventandone ben presto confidente, amica preziosa, ascoltatrice essenziale dei suoi racconti e delle sue sensazioni (per questo film ed Hema Hema, rimando alle esaustienti recensioni di Cinepaxy, qui e qui). Stili e culture, però, delineate in un cinema dal quale il sottoscritto si sente troppo distante, per restarne emotivamente coinvolto. Gran parte del rimanente visto, escluso dalla classifica, non meriterebbe nemmeno d'essere menzionato. Sezione cortometraggi in primis tra i quali spiccano per totale inanità: Dreaming of Baltimore (Lola Quivoron), Dgis bolomde (Anna Sarukhanova) e l'italiano Valparaiso (Carlo Sironi). Oramai è assai certo che la personale soglia di sopportazione si stia abbassando annualmente, ma di un cinema che ancora pretende di raccontare/documentare storie/squarci di quotidianità (strutturate inoltre nel modo più tradizionale possibile) senza infine portare a nulla di originale, all'interno di un metraggio ridotto come possono essere i venti minuti di un cortometraggio, in tutta sincerità, non se ne sente più il bisogno; e i corti qui succitati quadrano perfettamente in questa specie. Delusione anche per lo sci-fi sperimentale Nuestra amiga la luna, l'ultima confusionaria "fatica" dello spagnolo Velasco Broca che, nel 2010, con l'esilarante Avant Petalos Grillados era riuscito a ritagliarsi un piccolo spazio personale tra i nomi da tenere d'occhio. Sempre nella sezione Pardi di domani, ci si eleva di poco da questa deprimente media con Las Visceras (Elena Lòpez Riera) dove l'unico exploit capace di risvegliare flebilmente l'attenzione dello spettatore dalla soglia del dormiveglia (o al limite, farlo fuggire dalla sala) è rappresentato dallo scuoiamento di un coniglio, e Non Castus (Andrea Castillo), imperniato su di un ambiguo rapporto madre-figlio, dai prevedibili risvolti incestuosi. Anche l'ultimo delirio di Gabriel Abrantes (A Brief History of Princess X), tocca prenderlo per quello che è: un divertissement di sette minuti dove l'estroso regista originario del North Carolina si cimenta per la prima volta con una storia vera; quella dello scultore rumeno Constantin Brâncuși che tra il 1915-16  realizzò un fallo di bronzo ispirato dal busto di Maria Bonaparte, a tutt'oggi detenuto presso il Philadelphia Museum of Art. Bizzarrie che funzionano decisamente meglio nella collaborazione dello stesso Abrantes con l'indefettibile Ben Rivers per The Hunckback, delirante adattamento fantascientifico della storia del piccolo gobbo, tratto da Le mille e una notte. Al comando, una multinazionale in una società futuristica dove i dipendenti vengono obbligati a seguire delle messe in scena richiamanti l'era medievale. Sulla falsariga di The Sky Trembles and the Earth Is Afraid and the Two Eyes Are Not Brothers, Rivers enfatizza oltremodo il caratteristico aspetto weird e "deforme" delle sue incursioni/visioni in universi distopici, con abbondanti dosi di humor macabro (senz'altro lo zampino di Abrantes), avvicinandosi pericolosamente a un genere come l'exploitation d'altri tempi, specialmente nei paradossali momenti in cui un corpo viene decollato, e un cadavere scambiato per un oggetto del desiderio, con tanto di pene in erezione. Indubitatamente originale, The Hunckback finisce così per rivelarsi uno tra i cortometraggi più soddisfacenti del festival, quasi alla pari dell'opera vincitrice del Pardino d'Oro, L'immense retour (Romance), della francese Manon Coubia. Premio più che meritato per un film che solca gli alpini sentieri della memoria attraverso il tempo; una giovane donna sul letto, probabilmente in un tempo passato, sorvolata da una camera che ne svela pacatamente i dettagli del viso. Probabilmente la stessa donna, anni più tardi, ripresa con la stessa metodicità e nella stessa posizione, con i capelli ingrigiti e il volto solcato dalle rughe. Il ricordo di un amante perduto che però non invecchia, rimane intatto, nonostante i ghiacciai di una catena montuosa si scompongano e si ricompongano sismicamente fino a dissolversi in uno spazio bianco. E ancora i minuti, che scandiscono un tempo che pare interminabile finchè qualcosa affiora da quell'ipnotico strato neutro, lentamente... molto lentamente.
Continua...

4 commenti:

  1. Mi servirebbe una macchina del tempo per poter presentarmi a Locarno con una stampa di questa pagina... Almeno non sprecherei il mio tempo a dover scegliere cosa vedere e cosa no.

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    1. Mi piacerebbe avere la macchina del tempo per tornare a Locarno e cambiare il corso di alcune visioni... Anche se la scelta quest'anno dubito potesse variare positivamente di molto. Per l'anno prossimo cercherò di anticipare in tempo la lista delle possibili cose interessanti, come avevi chiesto ;)

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  2. È volata davvero, molto più dell'anno scorso. Esperienza meritevolissima nonostante le poche visioni interessanti, già questo la dice lunga, comincio il conto alla rovescia per l'anno prossimo. Riguardo le tue considerazioni, a grandi linee siamo d'accordo, stiamo a vedere come sarà la tua top ten. Ah, e grazie per i link. :)

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    1. Verissimo, non mi sono nemmeno accorto di essere partito da casa. Il conto alla rovescia è già iniziato naturalmente, anche se spero ci si possa trovare ben prima, magari al TFF. Anche per la top ten concorderemo per la gran parte, sicuramente, eccetto i primi posti (specie il primo.. ahia ;)... Link doverosi, quelli erano i vostri film!

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