5.3.13

Corpo Celeste

Alice Rohrwacher
Italia, Svizzera, Francia, 2011
95 minuti
 

Marta è una tredicenne che dopo dieci anni vissuti in Svizzera fa ritorno con la madre e la sorella maggiore a Reggio Calabria, la sua terra d'infanzia di cui però non conserva nessun ricordo. La ragazzina, particolarmente sensibile e intelligente, si ritrova improvvisamente spaesata, rinchiudendosi in se stessa (complici anche i problemi famigliari) e cercando di adattarsi a questo nuovo mondo per lei sconosciuto; un Sud dominato dal degrado urbano e sociale, edifici abbandonati, ansia da consumismo, in cui anche quella comunità religiosa dove Marta si appresta a prepararsi per il sacramento della cresima, viene intaccata come un virus dai più insulsi modelli televisivi. Solamente l'incontro con un anziano prete, isolato ai confini di un paesino di montagna, aiuterà Marta nel trovare le risposte alle sue inquietudini esistenziali... Finale simbolico!
Vera sospresa del 2011 nel panorama del cinema italiano. Una delle migliori realtà tricolore degli ultimi anni, presentato nella sezione Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes e vincitore del Nastro d'argento come miglior esordio alla regia, premio più che meritato! Si, perchè con il suo stile Alice Rohrwacher riesce ad elevarsi ben sopra la stragrande maggioranza delle nostre produzioni cinematografiche. Fin dalle primissime inquadrature si nota che la giovane regista ha ben appreso la lezione dettata dal cinema europeo contemporaneo, dogmatico, con camera a mano gettata addosso ai personaggi, piani sequenza contemplativi e certe scene ad effetto (il taglio dei capelli, la suggestiva "ricerca di Dio" a occhi bendati, il lavaggio dei piedi), secondo alcuni, criticate come momenti che fanno troppo "autore" in favore di uno scarso approfondimento sullo svolgersi degli eventi. Ma giustamente come ha dichiarato la regista: "Questo non è un film che deve dare risposte, semmai porre domande." E se fare "troppo autore", qui in Italia significa giungere a questi ottimi risultati, c'è solamente d'augurarsi che la linea intrapresa da questa giovane esordiente, sia di esempio per altri futuri cineasti. E' ora di aprire gli occhi!


Corpo Celeste è (finalmente) un'opera coraggiosa e schietta, decisamente atipica per la nostra cinematografia, un'opera che affronta con vera sincerità una realtà purtroppo ancora presente in molte zone del meridione (e non solo). Rohrwacher calca la mano in particolar modo (e questo mi fa enormemente piacere) sull'influenza che il consumismo mediatico ha sulla nostra società; un attacco a tutta la "cultura/COltura italiOTA" televisiva di massa che ottenebra il cervello del "popolino"; domande sul catechismo programmate come un gioco a quiz, balletti in stile veline (la sorellina di Marta, davanti alla tv, vittima del degrado televisivo) e canzoncine idiote su "come sintonizzarsi con Dio", escogitate da una catechista in piena contraddizione con il reale insegnamento della dottrina cristiana, un prete interessato più a far politica che non a salvare anime (i cosiddetti "santini" distribuiti alle famiglie come tornaconto verso il proprio partito)... In mezzo a questo mondo deturpato, Marta, "corpo celeste", si aggira spaesata alla ricerca di risposte, e non è un caso, che il suo primo ciclo mestruale si presenti proprio durante il viaggio che la porterà alla conoscenza dei valori reali, tramite il colloquio (prima) con l'anziano sacerdote conquistato dalla “follia” di Cristo e attraverso il contatto (poi) con quel Cristo abbandonato nella Chiesetta di montagna, accarezzando il suo volto e ripulendo le sue cicatrici dalla polvere degli anni. Come Marta, anche lui spaesato, galleggerà infine tra le acque di un torrente (una delle sequenze migliori), lontano dalla visione distorta della contemporaneità. Un plauso infine all'intensa espressività della giovane attrice che interpreta Marta (Yle Vianello) e alla bellissima fotografia di Hélène Louvart.

6 commenti:

  1. sottoscrivo ogni parola, secondo me è un film che resterà, ed è "solo" un'opera prima.

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  2. Mi fa piacere che apprezzi. Avercene di esordi così (soprattutto in Italia)

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  3. Spero solo che non rimanga opera unica a causa della deriva che ha preso il cinema italiano, Complimenti per il blog e benvenuto!

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    1. La speranza è sempre l'ultima a morire :) Grazie a te e benvenuto su Visione Sospesa!

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  4. Sebbene per gli stessi motivi tuoi, abbia apprezzato molto lo sforzo artistico della regia, degli attori e della fotografia, io l'ho trovo eccessivamente sfuggente nella parte finale. Sì, simbolico come tu stesso lo definisci, ma poco appagante di fronte al vortice di delusioni e contraddizioni che fremevano nel cuore della protagonista.

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    1. Sì, ma è volutamente sfuggente. Guarda, io l'ho interpretato come una lunga ricerca in cui alla fine, proprio le più semplici, piccole e anche all'apparenza insignificanti cose della vita o del creato (ed in questo caso la metafora dell'animaletto che si divincola "sfuggirà?" dalle mani della protagonista), possono aprire gli occhi ad una visione più chiara sull'esistenza e su quello che ci circonda, traendone di conseguenza un ritrovato benessere interiore. Volendo poi girarci intorno, anche il ragazzino che la invita ad "osservare" tale forma vivente, potrebbe avere un ruolo d'importanza per il futuro (un vero amico magari) aiutandola ad accettare e ad accettarsi, per affrontare con più serenità quel nuovo percorso.

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