22.9.16

Damnesia

Scout Tafoya
USA, 2014
102 minuti

Una ragazza con problemi asmatici percorre un vasto campo di fiori, finchè, trovatasi di fronte alla riva di un argine sul quale tenta di salire, viene colta da una crisi allergenica e si accascia sul manto erboso. Impossibilitata a muoversi, paralizzata dalla paura, mentre cala il crepuscolo la sua mente inizia a colmarsi dei ricordi del passato...
Il favoloso incipt di Damnesia, opera indie autoprodotta e diretta dal giovane Scout Tafoya (sotto l'etichetta di produzione Honors Zombie Films), è di quelli che lasciano il segno in maniera piuttosto indelebile, tanto da farti immediatamente pensare ad un prosieguo magistrale o, perlomeno, mantenibile sugli stessi livelli. Cosa che però, purtroppo, non avviene come quanto sperato, almeno non attraverso quella temporalità ipnotica che dovrebbe sostenere film dall'impianto sensoriale come questo, giocanti tutto sulla percezione, il sentire, l'intravedere. In quanto Damnesia subisce delle pesanti battute d'arresto proprio a causa di una stesura altalenante, in continua oscillazione tra la potenzialità di quell'immaginario puramente onirico che si viene a creare nella mente della protagonista durante la condizione di stasi in cui si trova (paragonabile ad una sorta di torpore paretico, al confine in una dimensione tra la vita e la morte), e la banalità dei persistenti flashback raffiguranti un passato di relazioni/conflitti, amori/amicizie. Che sono si, anch'essi parte basilare del suddetto stato di reminiscenza, ma che divergono in maniera eccessiva da quella sensazione d'oppressività che si insinua nella prima parte (ricordo dell'infanzia compreso, suggestivamente funzionale al contesto), poichè delineanti un immaginario adolescenziale, se vogliamo, eccessivamente stereotipato (quasi un tentativo - discutibile - di miscelare gli elementi del movimento americano mumblecore, con quelli più tipicamente avant-garde) e tutto sommato frivolo, borghese, che finisce per tediare pesantemente, considerando inoltre un accompagnamento musicale composto principalmente di monotoni brani al pianoforte. Peccato, perchè c'era un potenziale enorme alla base; costruire di fatto un film che si sospende esclusivamente sui processi della memoria e sul quale, Tafoya, da una prospettiva visionaria poteva certamente osare di più (vista oltremodo la dedica conclusiva al compianto Ken Russell ma non solo: tra le fonti d'ispirazione vengono riportati autori del calibro di Philippe Grandrieux e Carlos Reygadas, giusto per citarne due tra la decina di nomi presenti nei titoli di coda). In pratica, si poteva anche alleggerire (se non evitare proprio) quella certa aura di romanticheria che, oltre a gravare sulla durata (trenta minuti in meno, come minimo, e il film ne avrebbe sicuramente giovato), destabilizza sostanzialmente tutto il magnifico lavoro crepuscolare congegnato in apertura (e che da solo, vale l'intera visione), ma che procede poi in maniera claudicante dove, fortunatamente, resistono i perpetui giochi tra sovrimpressioni e bokeh, la luce, il bianco abbacinante; la voluta sovraesposizione che dall'ambiente trapassa i volti come entità oramai in procinto di svanire, probabilmente, anche dalla memoria. Tutti elementi che in definitiva agiscono con lo stesso criterio di una lacerazione (e le interruzioni foniche, seguite da strappi ed improvvisi silenzi, in tal caso sono un'operazione azzeccata); come effettivamente è, quella piaga invisibile che segna da sempre la vita della protagonista, fino a costringerla a terra, sulla riva di un argine per un tempo a noi oscuro, e della quale non conosceremo mai, l'avvenire.



2 commenti:

  1. magari dico una cazzata ma penso che non sia asmatica ma abbia fatto uso eccessivo di codeina con la sua amica, o almeno questo mi è parso di capire

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    1. Possibilissimo si, ma appunto, secondo me lei è broncopatica. Motivo che spiegherebbe la crisi respiratoria dato che un uso eccessivo della codeina può aggravare la patologia in soggetti già predisposti.

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