25.11.15

Cloud Shadow (Wolkenschatten)

Anja Dornieden, Juan David González Monroy
Germania, 2014
17 minuti

"Immaginate un quadro. Immaginate il quadro di un luogo. Immaginate questo luogo come un paesaggio. Immaginate la luce in questo paesaggio. Immaginate il calore irradiato da questo paesaggio. Immaginate il benessere che deriva da questo calore. Immaginate di riuscire a conservare questo sentimento...
Ora immaginate di non riuscire a conservare questo sentimento. Immaginate la sua dissolvenza dalla vostra memoria. Immaginate di voler tornare a questo paesaggio e non poterci riuscire. Immaginate il dolore di non poter tornare a questo paesaggio, di non poter più sentire quel calore. Immaginate la perdita di questo paesaggio e il dolore che essa provoca. Immaginate di vivere con il dolore per questo paesaggio perduto per sempre. Immaginate questo come un paesaggio di dolore..."

Partendo dall'esercizio di pensiero elaborato qui sopra da una voce narrante, e dall'immagine fissa di un bosco, la coppia di artisti Dornieden/González Monroy (alias Ojoboca), modella un film alchemico ed ipnotizzante costituito da una presentazione in serie di diapositive (una sorta di slideshow fotografico) chimicamente processate su pellicola, e proposte come la reliquia di un inscenato e misterioso avvenimento risalente al lontano maggio del 1984. Epoca in cui la fantomatica cittadina di Hüllen-Hüllen, venne avvolta per tre settimane da quella che sembrava essere una nube di proporzioni enormi, la quale finì poi per dissolversi improvvisamente. Le ricerche che ne seguirono, condussero gli investigatori fino ad una grotta situata alla periferia della città, rifugio provvisorio per gli abitanti intimoriti e dove, al suo interno, furono rinvenuti una serie di oggetti (specchi e lenti) assemblati al fine di costruire un rudimentale dispositivo di proiezione. Ora, le immagini che, seguendo la storia simulata dal duo di Berlino, una volta acceso il dispositivo si sarebbero impresse su ogni superficie della grotta, restituiscono a noi la supposta vita di quegli abitanti (scolpita come un quadro rupestre in quel tempo, in quel paesaggio), e dei quali si sarebbero successivamente perse le tracce. Ipoteticamente, svaniti proprio durante l'ammirazione (tra meraviglia e disorientamento) a loro volta di quelle stesse immagini che, per gran parte, differiscono dall'eccentrico narrato della voce-over se non per alcuni brevi frammenti (tipo una finestra a sbarre, o il succitato bosco) a funzione più che altro di simbolismi. Trattasi in sostanza di un'esercitazione; l'interrogarsi sulle possibili capacità di esperire di un'immagine in continuo intervallarsi tra scomposizione e ricomposizione, perdita e ritrovamento, ed il cui testo filmico non la rappresenti per com'è. Tant'è, che l'artifizio stesso operato sulla voce narrante (eccellentemente correlata a un perturbante tappeto sonoro) favorisce questa distinzione; discerne immagine e testo accentuandone la sensazione di straniamento durante la fruizione ma, al contempo, conferendo al complessivo una maggior aura di mistero e suggestione. E tant'è, esemplificando, che al surreale udire di conigli albini ed infanti decollati a cui viene negata la reale visione del mondo, al nostro sguardo si manifesta invero una realtà diversa, quale può essere l'osservazione di un arbusto disadorno, scolpito al tramontare del sole... L'importante, alla fine, è crederci. E ricostruire la possibilità di un'immagine propria, che possa rappresentarci interiormente.

"...Ora però immaginate di poter frantumare questo dolore, immaginando un altro luogo che vi dia il potere di distruggere questo paesaggio di dolore. Immaginate questo come un paesaggio di speranza. Immaginate la riscoperta di questo paesaggio e la speranza che essa suscita. Immaginate la speranza di poter tornare a questo paesaggio. Immaginate la luce in questo paesaggio. Il calore irradiato da questo paesaggio. Immaginate il benessere che deriva da questo calore. Immaginate di riuscire a conservare questo sentimento."


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